"Domina", la forza del verosimile. Quanta storia c'è dietro la serie tv di Sky?
Augusto codardo? Livia Drusilla burattinaia? Tiberio disturbato? Fact checking sull'antica Roma partendo dalla nuova fiction
Se la pax romana era un bagno di sangue e complotti per il potere, figuriamoci la guerra. È quanto sembra raccontarci "Domina": la nuova serie tv uscita a maggio su Sky e incentrata sulla figura di Livia Drusilla, terza moglie di Gaio Ottaviano Augusto. Fiction batte storiografia? Non è una provocazione, in termini di credibilità. Attorno al primo imperatore di Roma le fonti dell’epoca risentono della forte impronta propagandistica voluta da Augusto stesso – a partire dalle Res gestae scritte di suo pugno –, contribuendo all’immaginario collettivo dell’ottimo principe affermatosi nei secoli fino ai giorni nostri. La serie in otto puntate mostra invece un sovrano feroce, di genio più astuto che eroico. Sposato con una cinica doppiogiochista e circondato da un supporting cast di validi assassini. Aspettative in frantumi, mos maiorum pure. Quanto c’è di vero?
Partiamo da Livia – interpretata da Nadia Parkes (giovane) e Kasia Smutniak (adulta) –, scelta riuscita della produzione per filtrare gli eventi sotto il raro punto di vista di un’antica autorità femminile. Lungi dalle attuali pretese del MeToo: sulla sua eccezionale influenza politica nel corso di una lunga vita (58 a.c – 29 d.c) non ci sono dubbi. Figlia di Marco Livio Druso Claudiano, vecchio repubblicano morto per combattere proprio Augusto, riuscirà a consegnare il neonato impero nelle mani del candidato meno accreditato – suo figlio Tiberio, avuto da un precedente matrimonio – dopo il venir meno di tutta la concorrenza, finendo con il titolo di Augusta e quindi divinizzata (spoiler: la serie per ora si ferma al 22 a.c.).
Questi sono gli scarni paletti della storia. Con il contributo di una scenografia all’altezza e degli impeccabili costumi del premio Oscar Gabriella Pescucci, "Domina" non li abbatte. E al loro interno dà sfogo al verosimile: una "House of cards" in salsa Spqr, con sprazzi di "Breaking bad" – se l’innocente Livia seduce, poi tradisce e fa ammazzare “è per la mia famiglia!”, o meglio, la res publica – che fanno sempre appeal.
Un esempio su tutti? Marco Claudio Marcello, nipote e successore designato da Augusto morto prematuramente a 19 anni (il primo a venir sepolto nel mausoleo dello zio). All’epoca fu onorato in lungo e in largo, dal teatro nel Campo Marzio di Roma che ancora oggi porta il suo nome fino all’Eneide: “Tu Marcellus eris”, Virgilio farà dire al vecchio Anchise mostrando la sua discendenza a Enea. Il verso si completa con “Manibus date lilia plenis” – “Versate gigli a piene mani” –, riutilizzato da Dante in persona per salutare Beatrice in paradiso – Purgatorio, XXX 21 – e tradizionalmente proposto sulle lapidi dei caduti in giovane età. Insomma, un angelo. Al contrario, il Marcello di "Domina" trasmette antipatia. Incattivito e ambizioso, ma allo stesso tempo insicuro e con il serio problema di garantire un erede ad Augusto mentre porta avanti una liaison omosessuale con uno schiavo: niente di scandaloso nell’antica Roma, purché il dominus consumasse in posizione attiva e onorasse comunque il matrimonio. Finirà ucciso da uno spettacolare avvelenamento orchestrato da Livia per favorire il figlio Tiberio. Cosa avvenne in realtà resta ignoto: le fonti ufficiali attribuiscono la causa a un’improvvisa malattia. Ma già Cassio Dione – nella sua Historia romana, III secolo – ammise il possibile coinvolgimento dell’imperatrice nella morte del giovane, tesi recentemente avvalorata dal romanziere classicista Robert Graves e dallo storico William E. Dunstan.
Le cospirazioni sono pane per qualsiasi copione, più difficile fare centro con il realismo. Eppure "Domina" non ha paura di provarci: dall’unica figlia di Augusto colta in flagrante su una latrina – come si pulivano gli antichi romani? – al tormento delle gravidanze che riguarda ogni donna di potere e non, Livia su tutte. Fa un certo effetto vedere Agrippa, artefice originario di quella meraviglia del Pantheon, tagliare in due uno schiavo inerme con un fendente. E che il giovane Tiberio, inquietante e compassionevole, ammazzasse tartarughe e prostitute come per "spostamento freudiano", può essere una liberissima interpretazione di Svetonio: “Egli non nascose la sua natura tenace e crudele anche nell’infanzia”.
Così Simon Burke e il suo team di sceneggiatori prendono spunto qua e là, modellano episodi, creano suggestioni. Eppure non scivolano mai nel kitsch – passi la modernità dei dialoghi: per i feticisti del latino c’è sempre "Romulus". “Qualche licenza è concessa perché parliamo di una fiction”, spiega Alessandro Roncaglia, consulente storico per Sky: “Quando ci sono personaggi di un certo tipo, noi ce li immaginiamo in un modo e questo sfocia nei preconcetti. Ma la storia è perfettamente rispettata nelle dinamiche”. Ironia della sorte, l’unico autogol di "Domina" rischia di essere proprio nel titolo. Di nuovo Svetonio, nelle Vite dei Cesari, racconta come “Augusto aveva sempre respinto con vergogna l’appellativo di dominus”, fino a vietarne l’uso per sé e per i suoi figli o nipoti. Non c’è motivo di credere che sia toccata sorte diversa alla moglie. O siamo di fronte all’ennesimo escamotage di Livia Drusilla.
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