L'informazione ai tempi del covid
"I talk show celebrano l'ignoranza. Nella pandemia, il riscatto dei giornali", dice Zecchi
"È la rivincita della carta stampata che permette una maggiore comprensione. In tv la tragedia diventa commedia. La democrazia richiede conoscenza, non la discussione che si fa rissa". Dai virologi alla politica, parla il filosofo
Sa bene come ci si muove dentro uno studio e proprio per questo frequenta “la tv molto più di quanto non la guardi”. Non è col telecomando che cerca di informarsi, tanto più in un periodo storico come questo, che ha portato nei talk show, per parlare di Coronavirus, tutto e il contrario di tutto, virologi narcisi, sedicenti esperti in materia sanitaria e opinionisti prestati alla scienza. Stefano Zecchi è filosofo e scrittore, un passato da ordinario di Estetica alla Statale di Milano, e un presente da attento osservatore.
E allora, professore, non si può che iniziare da qui: qual è l'estetica del talkshow ai tempi della pandemia? “La celebrazione dell'ignoranza, un'estetica che non distingue tra chi è competente e chi no. Non era mai accaduto, almeno che io ricordi in 30 anni di tv, che un elemento così tragico diventasse argomento televisivo, in questi termini – risponde al Foglio- Parlare di Covid richiede grande attenzione, per evitare facili suggestioni nel pubblico”. E invece i palinsesti televisivi continuano a proporre la stessa formula: “La tragedia si fa commedia. E così un problema medico-sanitario, è diventato anche un problema di comunicazione politica e giornalistica”.
In un articolo sul Giornale in cui affrontava il tema della responsabilità di chi comunica, Zecchi ha richiamato la celebre frase di Wittgenstein, “Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Una massima tanto ovvia, quanto disattesa davanti alle telecamere. Come mai? “È la natura stessa dello strumento che porta a questi risultati – spiega il filosofo - Quando si è insieme, i tempi di risposta si accorciano, devono essere rapidi. Come richiede la tv. Questa rapidità porta a una semplificazione”.
E a rimetterci alla fine sono sempre la ragione e la conoscenza, mentre trionfa la confusione. “Le faccio un esempio: io sono un padre 'diversamente giovane' – dice ridendo il filosofo, 76 anni lo scorso 18 febbraio e un figlio di 17 anni - che doveva decidere se far vaccinare o meno suo figlio. Attraverso i talk show non ho trovato nessuna risposta, parliamo di una questione che riguarda tante famiglie in Italia”.
Un tempo, sottolinea Zecchi, la televisione forniva una sorta di legittimazione, adesso succede esattamente il contrario e quello che arriva dal piccolo schermo è invece oggetto di diffidenza. Una dinamica che ha molteplici responsabili: “Il narcisismo dei virologi, prima di tutto. Bisognerebbe chiedere all'intelligenza di questi esperti di non voler apparire a tutti i costi”.
E non solo a loro, perché il problema è anche di natura politica e istituzionale: “Basterebbe individuare un'unica voce. Come in America, dove parlava solo Fauci”. Qualche mese fa però è stato Mario Draghi a inseguire questa strada, nominando Silvio Brusaferro, portavoce unico del Comitato tecnico scientifico, per provare a mettere ordine nel turbinio continuo di voci intorno al virus. “Ma si tratta di un problema più ampio, che riguarda proprio la classe politica, che cerca il consenso, l'interesse particolare, e parla di quel che non sa”. E poi c'è anche una questione relativa al mondo della televisione. Da una parte, “le scelte, consapevoli, degli autori e dei conduttori degli stessi programmi che inseguono lo share, quindi la superficialità. Per carità – chiarisce il professore – si può anche dibattere tra non esperti, ma con serietà, argomentando. Cosa che non è possibile in tv dove il centro è il litigio”.
Dall'altra, esiste un problema di paradigma: “La tv non è adeguata perché utilizza un format vecchio, che non è adatto alla comunicazione scientifica, e dovrebbe passare ad altri modelli”. Nel pensiero di Zecchi, manca nell'informazione da salotto televisivo l'approccio analitico, quello che permette di interpretare. In sintesi, meno dibattito e più interviste: “I talk dovrebbero tornare al modello della carta stampata. La democrazia richiede conoscenza, non certo l'ignoranza alimentata da una discussione che si fa rissa”. Se c'è una lezione che Zecchi ricava analizzando lo stato dei media è proprio questa: “la rivincita dell'informazione riflessiva. Per questo compro e mi informo attraverso i giornali, dove c'è un altro livello di meditazione, che favorisce una più reale comprensione dei fenomeni. Da questo punto di vista vedo il riscatto dei giornali”. E chissà che sfogliando un quotidiano, il professor Zecchi non abbia anche trovato la risposta che cercava sulla vaccinazione del figlio: “Certo, alla fine abbiamo deciso. Il 23 agosto abbiamo l'appuntamento”.