Gomorra 5, la resa dei conti tra Ciro e Genny che sembra una storia d'amore
Dal 19 novembre arriva la stagione finale. L'ultimo atto di una vicenda che ha portato la fortunata serie prodotta da Cattleya e Sky a diventare un fenomeno internazionale
La resa dei conti tra Ciro e Genny ha in Gomorra 5 le sembianze di una storia d’amore. È controintuitivo ma realmente ciò che sta al centro dell’ultima stagione della serie – in onda su Sky dal 19 novembre – è una relazione, un rapporto. Quello di intimità, di prossimità fatta di odio viscerale, crudeltà, amicizia e allo stesso tempo di dipendenza reciproca che lega Ciro di Marzio (Marco D’Amore) e Gennaro Savastano (Salvatore Esposito) che si riuniscono per l’ultimo atto di una vicenda che ha portato la fortunata serie prodotta da Cattleya e Sky a diventare un fenomeno internazionale.
Genny è a Napoli, rinchiuso in un bunker di tre metri per tre, per sfuggire alla polizia che lo sta braccando. Ha dovuto abbandonare la moglie Azzurra e Pietrino per tentare di eliminare del tutto i Levante con il solo aiuto di O’Maestrale, il boss di Ponticelli (uno dei nuovi personaggi di questa stagione). Ma nei suoi calcoli non ha tenuto conto di un fattore, fondamentale: Ciro – il suo braccio destro – è ancora vivo, è a Riga dove era stato spedito da Don Aniello. Genny parte per la Lettonia dove si ritrova faccia a faccia con il rivale di sempre. Dallo sguardo tra i due, da quelle facce che si conoscono a memoria e che sono sempre vicine quasi fino a toccarsi, ripartirà la lotta per riconquistare Napoli.
In questa quinta e ultima stagione, scritta da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli con la collaborazione di Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, firmano la regia Claudio Cupellini e lo stesso Marco D’Amore che occupa il doppio ruolo di regista e di uno tra gli attori protagonisti. La serie è prodotta da Sky Studios e Cattleya in collaborazione con Beta film.
Rispetto al romanzo originale di Roberto Saviano, la serie si prende un tempo narrativo molto più ampio e articolato per raccontare un contesto e andare a fondo delle dinamiche relazionali dei personaggi che lo abitano. Al centro di tutto c’è il racconto del potere, nelle sue varie (e sempre terrificanti) connotazioni unito all’elemento famigliare, anch’esso trasfigurato in senso più ampio. Genny e Ciro nel tempo sono diventate delle maschere, degli archetipi che incarnano modalità diverse ma in fondo similari di interpretare la vita, in un contesto che non lascia scampo, che non consente vie di uscita né reinterpretazioni. O freghi o sei fregato.
In quest’ultima stagione della serie si continuerà a raccontare di un mondo di sconfitti, di uomini e donne che vivono nella disperazione come dato acquisito. Che praticano il male rispondendo ad un codice interiore da cui non si può sfuggire. Un racconto in cui ci si ferma quasi al suo apice (meglio “morire da vivi” dice Riccardo Tozzi all’anteprima), in cui si sceglie di lasciare un non detto, un non indagato che sarà poi lo spettatore a dover riempire del proprio senso. Accanto a questo, Gomorra ha lasciato un linguaggio che ha cercato la spettacolarità, rimanendo incarnato in un contesto visivo e linguistico assolutamente particolare e perimetrato come quello della periferia napoletana che per estensione è diventata la periferia di qualsiasi città. Un non luogo.
E ora cosa rimane? Salvatore Esposito all’anteprima delle prime due puntate della serie dice che “in Gomorra alla fine si farà vincere l’amore”. Questo è quello che gli spettatori devono aspettarsi. La declinazione di questo amore sarà, come la serie ci ha abituati, impastata di morte, dolore e sentimenti ancestrali. Avrà a che fare con l’umanità, con la carnalità di personaggi che da dieci anni vivono prima nella penna, poi nelle immagini e infine negli occhi degli spettatori della serie. Rimarrà il racconto di una storia che ha a che fare con l’epicità, una vicenda con molte ombre e qualche piccola luce. La stessa che c’è nello sguardo tra Ciro e Genny. Che porta con sé amore e morte.
Politicamente corretto e panettone