che musica che fa
Dopo tre giorni di Sanremo le canzoni diventano quasi tutte belle
Mahmood e Blanco sorpassano Elisa. Difficilmente la palma prenderà strade diverse da queste. Ma Cesare Cremonini è la cosa migliore passata nella sagra delle giacche rosa confetto. La battaglia a distanza prosege in serata, nella carrellata delle cover con ospiti
Una regola aurea del Festival di Sanremo obbliga a non svilire nei giudizi la performance di chi si esibisce per ultimo, all’una e mezza di notte, quando influisce l’attenuante stanchezza dello spettatore e dell’intero contesto. Inesorabilmente, il brano è destinato a crescere l’indomani negli ascolti da studio per il recall: vale ad esempio per Giusy Ferreri, rialzata dalla squadra al lavoro infrasettimanale con gli occhi aperti del mattino.
Dopo tre giorni, a Sanremo, diventano quasi tutte belle le canzoni del mondo. Sale Noemi dai capelli incantati, il vibrante pugno di Emma (con sospensione dell’incredulità) ha portato in gara la traccia migliore: “Metti che il cielo poi fosse il pavimento” funziona anche nella pulizia della release ufficiale. Pensieri che non ci si capacita di incubare, indotti dalla somministrazione intensiva: sostenere lo spessore di Michele Bravi, soppesare con ampi gesti il flusso di Yuman, cercare di opporre resistenza al proprio passato meno adulto, rivisto attraverso le lenti indossate da Tananai. Per una settimana l’anno, quella del licet insanire, vale tutto e tutto è carnevale: la bolla ha doppiato il giro di boa, altre quarantott’ore di apnea nel Truman Show prima del silenzio di Cage in binge listening domenicale, l’Amica Geniale come si attende Godot.
Cesare Cremonini non ha di questi problemi, manco fosse in concorso: arriva da ospite per la prima volta, esegue una “Nessuno vuole essere Robin” magistrale anche per ambientazione, dà fondo al repertorio (“da quando Senna non corre più, non è più domenica”, l’ovvia “50 Special”) e promuove “La ragazza del futuro”, nuovo singolo debitore di Lucio Dalla, che giusto dieci anni fa calcava quel palco pochi giorni prima di andarsene tra infiniti rimpianti. Groove sofisticato del periodo “Washington” e finale disco-version contribuiscono a renderla la cosa più bella passata nella sagra delle giacche rosa confetto, edizione 2022.
Mentre la brillante e Drusilla Foer chiede (troppo tardi in scaletta) che venga dato un senso postumo alla sua intelligente presenza nel roster, scorre a rullo continuo la pletora dei concorrenti: venticinque sono troppi (no, non ho detto Truppi), ma pare non l’abbia ancora rilevato nessuno là dove conta, ovvero alla quotidiana conferenza stampa di mezzogiorno con i vertici della Rai. La classifica demoscopica arriva quindi alle ore piccole e confluisce nelle scelte emerse dalla sala stampa durante le prime due serate: qualcosa cambia, perché Sangiovanni e Aka7even vengono sollevati dai ragazzini in età scolare, Gianni Morandi un po' da tutti e vede il podio, dopo due giorni di balli sfrenati cedono vistosamente la Rappresentante di Lista e Dargen d’Amico.
Il verdetto della giuria porta soprattutto nuove messi ai carri dei duellanti annunciati: Mahmood e Blanco sorpassano provvisoriamente Elisa, i diodati dell’anno in plastica dicotomia tra il presente urban e l’eternità della favola. Ben difficilmente, a scanso di exploit, la palma prenderà strade diverse da queste: l’atout della Toffoli sta nella scalata centrale verso l’inciso caselliano, i due ragazzi lombardi ribattono col piano di furto al cielo di perle. “O forse sei tu” è il prototipo dei brani ammazza Festival (“Controvento”, “Uomini soli”, “Si può dare di più”), sguazza nella sua storia ma forse all’esterno godrà di vita autonoma più limitata: per intanto la sua proprietà merita di vincere la kermesse. Dal canto suo “Brividi” - forte di un bel video girato alla periferia di Amsterdam - è soprattutto la palestra di Blanco fra melodia new soul e l’urgenza del rap, possibile trampolino per una carriera notevole e duratura: dipende sempre da cosa canterà, da cosa gli faranno cantare.
La battaglia a distanza proseguirà in serata, nella carrellata neotradizionale delle cover con ospiti: la vocalist giuliana si lancia in “What a feeling” dal culto di Flashdance, i rivali rispondono con l’ascesa al “Cielo in una Stanza” di Gino Paoli e Mina. Memori, entrambe le parti in causa, che anche il fuori programma del venerdì può spingere o arrestare la corsa all’oro: la stessa Arisa vinse dopo il fasto di “Cuccurucucù paloma” assieme agli Who Made Who, glissando di quanto sia stato decisivo Sergio Cammariere per dare sostanza e classe a “Ti regalerò una rosa” di Simone Cristicchi. Nelle retrovie, i più pigri come Morandi o Ana Mena ripiegano verso il medley remixato delle proprie hit, Rkomi fa lo stesso con Vasco Rossi, Giovanni Truppi - il re delle tre canzoni discordanti in una - indica la direzione convocando Vinicio Capossela per rileggere “anche se voi vi ritenete assolti, siete per sempre coinvolti” dalla Storia di un Impiegato. Tra sfizi come “Canzone” di Don Backy (prenotata dalla Zanicchi per celebrare Milva) e l’imberbe Sangiovanni in zigoviaggio con la Mannoia dentro l’esperienza di “A muso duro” (Pierangelo Bertoli), questa sera sarà senza dubbio - come ormai ogni anno - l’occasione per riconoscersi.
Politicamente corretto e panettone