La serie che parla di me: “Inventing Anna”
Arriva su Netflix la storia di una truffatrice. Qui la vera Anna racconta le sue prigioni e spiega anche perché non si guarderà in tv. Poi chiede: quando inizierà la seconda stagione della mia vita?
Anna Sorokin – conosciuta anche come Anna Delvey – si trova in una prigione nel nord dello stato di New York. Dal 2013 al 2017 s’è finta un’ereditiera tedesca a New York City ed è stata condannata per furto aggravato, fra le altre accuse, mentre metteva in atto la sua truffa. Sorokin diceva di avere un business plan pronto e finanziato per la creazione della Anna Delvey Foundation. Il suo avvocato ha detto che stava cercando di “fake it ’til she made it”, di fingere fino a riuscire a portare a compimento il suo piano.
L’11 febbraio su Netflix arriva “Inventing Anna,” una miniserie di nove episodi su Anna Sorokin: Julia Garner, che interpreta Anna, ha raccontato che lei e la produttrice Shonda Rhimes hanno visitato Sorokin in prigione per preparare la serie. Anna è stata arrestata nel 2017 e ha passato circa due anni nel carcere di Rikers Island prima della condanna. Ha scontato altri due anni all’Albion Correctional Facility nel nord dello stato di New York fino al suo rilascio nel febbraio del 2021. E’ stata poi nuovamente arrestata sei settimane dopo dall’Ice, l’agenzia federale che controlla le frontiere e l’immigrazione, perché si trova in territorio americano oltre i limiti previsti dal suo visto: è in custodia da allora, potrebbe essere trasferita in Germania.
Su Insider, Anna Sorokin ha scritto della sua esperienza in prigione e della serie di Netflix. Ne pubblichiamo ampi stralci.
L'ispirazione della serie
La serie “Inventing Anna” nasce da un articolo di Jessica Pressler pubblicato sul New York Magazine in cui raccontava la storia di Anna Sorokin. Potete leggerlo in esclusiva in Italia sul terzo numero del Foglio Review e sul sito del Foglio.
Mentre il mondo si interrogherà sulla bravura di Julia Garner nel fare il mio accento in “Inventing Anna”, la serie di Netflix su di me, la vera me sta in una cella del carcere di Orange County, nel nord dello stato di New York, in quarantena.
Mi trovo qui perché l’Ice ha deciso che la mia scarcerazione per buona condotta non significa nulla e che io, nonostante sia stata rilasciata, rappresento “un continuo pericolo per la comunità”. Evidentemente i titoli del Daily Mail sono prove ammissibili che sovrastano la decisione della Commissione per la libertà condizionale di New York e che possono essere utilizzati dal Dipartimento della Sicurezza nazionale che sostiene che io, invece che cercare un lavoro, ero occupata a “farmi i capelli” – io e le mie brutte maniere.
Mentre ero in prigione, ho ripagato le banche da cui avevo preso il denaro. Ho anche fatto più cose nelle mie sei settimane di libertà di quel che molta gente ha fatto negli ultimi due anni. La violazione del tempo previsto dal mio visto non era intenzionale e soprattutto era fuori dal mio controllo. Ho scontato la mia pena in carcere, ma sto facendo appello rispetto alla mia condanna per ripulire il mio nome e la mia immagine. Non ho violato nemmeno una regola per la libertà condizionale dello stato di New York o dell’Ice. Nonostante tutto ciò, non mi è ancora stato indicato un percorso chiaro perché io possa essere di nuovo in regola.
Ho già detto che sono l’unica donna in custodia dell’Ice nell’intera prigione? Dimmi che sono speciale senza dirmi che sono speciale.
“Il tribunale trova che, anche se rilasciata dalla detenzione e obbligata a fare rapporto regolarmente all’Ice, l’accusata avrebbe comunque la capacità e l’inclinazione a commettere atti fraudolenti e disonesti”, ha stabilito un giudice. “Possiede chiaramente la capacità di fare questi atti e non ha mostrato alcun rimorso”. Scusate, sono di nuovo a processo per questa cosa?
Speravo di essere già a un nuovo capitolo della mia vita. Invece sono di nuovo in carcere, per un visto
Dunque no, non guarderò “Inventing Anna” a breve. Anche se dovessi, chiedendo qualche favore, averne la possibilità, non trovo attraente l’idea di guardare una versione romanzata di me stessa in quest’ambiente da manicomio criminale.
Ricordo ancora la sera in cui la trasmissione “20/20” di Abc ha parlato di me, in ottobre. Purtroppo era anche la sera in cui le medicine tardavano ad arrivare, quindi tutti erano svegli ad aspettare e guardavano la tv. E’ difficile spiegare cosa davvero odio di tutta questa storia. Non voglio essere intrappolata con queste persone che sezionano il mio carattere, anche se nessuno dice mai niente di male. Anzi, tutti sono incoraggianti, ma in modo superficiale e per tutte le ragioni sbagliate. Tipo, amano tutti i vestiti, le barche e le mance in contanti. Ho visto solo i primi due minuti prima di tornare nella mia cella. Non avevo assolutamente intenzione di sedermi lì e guardarlo con gli altri. E non ho bisogno di altri amici in prigione, grazie mille.
Per molto tempo ho sperato che, all’uscita di “Inventing Anna”, la mia vita fosse già a un nuovo capitolo. Ho immaginato che la serie sarebbe stata una specie di conclusione, il riassunto e la chiusura di una fase ormai finita.
Dopo quasi quattro anni e dopo ore di telefonate e visite, la serie è basata sulla mia storia ed è raccontata dal punto di vista di una giornalista. E mentre sono curiosa di vedere come hanno trattato il materiale che ho fornito, non posso non sentire la cupa ironia dell’essere confinata in una cella in un altro penitenziario perso fra le righe, la storia che si ripete.
Certo, io, il narratore inaffidabile, ho fatto scelte discutibili che oggi non ripeterei. Queste decisioni mi rendono inevitabilmente una minaccia permanente alla sicurezza pubblica? Lo stato dice di sì. Ma in paragone a chi? E’ tutto relativo.
Non ha senso che io stia ancora qui, dopo che hanno portato e rilasciato numerosi criminali violenti (rapinatori, stupratori, potenziali assassini) e persone con un assortimento di guide in stato di ebbrezza o di rapine. Loro non “possiedono chiaramente la conoscenza” per ricommettere i crimini di cui sono stati accusati in passato, o a loro si applicano degli standard differenti?
Intanto ho trascorso un’altra serie di festività, e un compleanno guastato dal Covid-19, in una cella deprimente, che dunque, secondo logica, mi caratterizza come più pericolosa di ognuna di queste altre persone. Così si capisce assolutamente come mai non sono autorizzata ad uscire dalla mia cella per settimane. Chi si vuole prendere un rischio con me?
Dopo aver scontato la mia condanna in prigione e aver lasciato Albion, ho pensato che fosse tutto concluso, per sempre, e che non avrei mai più messo piede in un istituto penitenziario. Poco dopo, mi sono ritrovata nel carcere di Orange County, dove tutto innesca costanti flashback. Complessivamente, sono stata in sette penitenziari per un’unica condanna. Mi sento dentro al “Giorno della Marmotta”.
Non mi sono mai lamentata di molte cose. Fin dall’inizio di questo mio viaggio, nello stato di New York, ho pensato che la gente volesse solo umiliarmi. La stessa mano ritrova costantemente la strada verso le tue ginocchia, si sofferma sui tuoi polpacci, afferra le tue caviglie, i polsi e la vita: manette, catene e lividi negli stessi posti. Ed è tutto per via della sicurezza, ci mancherebbe.
Sii gentile. Non essere fastidiosa. Non ero considerata “la solita ragazza bianca, come le altre qui”. Ho provato a essere una “brava ragazza” e questo mi ha fatto avere delle cose. Non sempre ma la maggior parte delle volte sì. Robe piccole – fare cose che gli altri non potevano.
Ciò che non vedrete nella serie è la mia nuova abitudine, mordere la pelle attorno alle unghie fino a sanguinare
Non ho mai detto nulla quando portavano articoli e pezzi di giornali e riviste, in un carcere in cui il New York Daily News viene sorvegliato quotidianamente ed epurato di qualunque menzione di Rikers e dei suoi carcerati nella cosiddetta “rassegna stampa”. Molta parte di questo non-abuso è subdolo, modellato sull’idea che comunque, in prigione, sei un problema che deve essere gestito. Ciò che non vedrete nella serie di Netflix è la mia nuova abitudine. Devo metodicamente mordere la pelle attorno alle mie unghie fino a che non sanguino da entrambe le parti e il sangue si riunisce sulla punta del dito fino a che non ce n’è abbastanza da gocciolare giù nel lavandino della mia cella dalle finestre opache in cui passo il 91,2 per cento della mia giornata. Risciacquo e ripeto. Non ottengo nulla di tangibile se non assecondare una fissazione ossessiva in un’altra giornata buttata che non avrò mai indietro. E non posso fermarmi.
In carcere, ho subito rinunciato al concetto di privacy. In quanti possono dire in ogni caso di essere pienamente in controllo della propria? E soprattutto: non mi ci sono messa da sola io qui?
L’unica cosa divertente è ascoltare dei secondini ottusi inventare cinquanta modi diversi di dirti di no
Proprio quando ho pensato che la situazione non potesse peggiorare ulteriormente, il 19 gennaio, sono risultata positiva al coronavirus. Sono sicura che sopravviverò, ma non sono mai stata così male in anni. Se sei positivo in carcere semplicemente ti chiudono dentro. E’ conveniente per loro. Passerà tutto, no? La maggior parte delle persone qui ha velocemente imparato a non lamentarsi dei sintomi per paura di essere rinchiuso. Lo staff insiste nell’usare il termine “isolamento medico,” anche se non c’è nulla di medico. Uno viene banalmente obbligato a stare in una cella con un buco nella porta. Questo posto è come una piastra di Petri per virus e batteri. L’unica cosa divertente da fare è ascoltare degli ottusi secondini inventare cinquanta modi diversi di dirti di no.
C’è sempre un buon motivo per tutto. Sono a corto di personale e c’è un arretrato di cento giorni (di cosa? Nessuno lo specifica mai), cosa che a quanto pare è un mio problema, anche se non ho mai chiesto di stare qui. Non ricordo ritardi o arretrati quando s’è fatto il mio arresto. Non vedo un vero dottore da più di quattro anni. Le infermiere sbrigative che sospettano che tutti vogliano strafarsi e che farebbero qualunque cosa per ottenere dei farmaci non contano.
E’ progettata così, la prigione. Ti tolgono la possibilità di scegliere e ti danno il peggio, così la prossima volta ci penserai due volte prima di pugnalare il tuo vicino – o di violare i termini del visto.
Durante la mia ultima udienza con l’Ice a ottobre, era l’onere dello stato dimostrare che io avrei rappresentato un pericolo per la comunità in caso di rilascio. Non è stata presentata alcuna prova per dimostrare la mia presunta voglia insaziabile di commettere crimini. Otto anni di libertà condizionale evidentemente non sono un deterrente sufficiente, e in assenza di alternative migliori, ciò che hanno trovato è stato un post su Instagram del 2018 – una vecchia foto della mia amica Neff con me su un tetto nel quartiere di Chelsea a Manhattan, postata da lei sul mio account con la posizione “Prigione di massima sicurezza di Rikers Island”, come fosse una battuta (Neffatari David è un’amica di Anna e consulente di “Inventing Anna”, ndr). La foto ha dato luogo a molte indagini interne e della polizia di New York: nessuna ha dimostrato nulla.
E’ stato sorprendente scoprire che pur essendo un’agenzia che prospera ostentando qualunque tipo di regola, l’Ice abbia creato ben poche restrizioni per le proprie operazioni. E’ difficile preparare o presentare una prova in tribunale quando scopri dell’udienza a dieci minuti prima che cominci. E’ giusto definirmi “imprevedibile” se non mi è mai stata data l’opportunità di creare stabilità?
La distorsione più recente dell’Ice è questa: sto aspettando da novembre una decisione sulla “riemissione” di una lettera che qui non è mai arrivata. Dovrebbe essere facile da verificare visto che tutta la mia posta è registrata. Chissà quanto tempo ci metteranno – un mese, sei mesi, un anno? Certe decisioni non devono essere affrettate. E finché la minaccia alla sicurezza pubblica è rinchiusa in una cella, a chi importa?
Molti dei carcerati qui non parlano una parola di inglese, ma vengono rimessi in libertà senza una cavigliera o una cauzione. Sono contenta per loro, lo dico davvero. Tanti di loro sembrano persone gentili che hanno fatto un paio di errori. Ma dubito che qualcuno di loro soddisfi i requisiti di stabilità finanziaria che l’Ice sta usando per tenermi qui.
Quante vecchie videocassette deve vedere una persona prima di poter essere riabilitata?
Gran parte degli americani pensa al Messico quando sente nominare l’Ice. E’ ovvio, i media sono pieni di notizie in cui questa agenzia che si occupa di confini e immigrazione viene menzionata in casi di deportazione e di detenzione di minoranze. Durante il mio soggiorno in questo carcere ho imparato che la maggior parte delle persone non realizza nemmeno che l’Ice gestisce tutti gli immigrati, non solo il rinforzo al confine sud. Ho sentito numerose variazioni di “non avevo capito fossi messicana. Davvero non si direbbe!” e “è incredibile che ti possano tenere così a lungo, non vieni nemmeno dal Messico”.
La rivelazione che non devi essere per forza ispanica per avere problemi con l’Ice desta sempre enorme sorpresa. Alcuni fanno un passo in più e danno consigli: “Sai che c’è un ufficio in città dove puoi rinnovare il visto? Hai chiesto al tuo avvocato?”. Sì, e poi sono stata più o meno arrestata in quell’ufficio.
Sarò per sempre giudicata per ciò che ho fatto all’inizio dei miei vent’anni? C’è qualche altra cosa che avrei potuto fare per chiudere questo capitolo? Sarò eternamente intrappolata in un passato che non ho creato tutto io senza avere la possibilità di andare avanti? Quanti anni di riflessione su un conto in banca senza coperture sono socialmente accettabili prima che a uno sia concesso di aprirne un altro? Quante vecchie videocassette deve vedere una persona prima di poter essere riabilitata?
Politicamente corretto e panettone