Salvate il soldato Giletti
Il conduttore di "Non è l'Arena" va a Odessa: non è lì per documentare, è lì per intrattenerci. Ma gli può capitare persino di fare informazione
Ieri Massimo Giletti ha chiesto ospitalità al rifugio della Croce Rossa per girare la puntata di “Non è l’Arena”. Perché? Ufficialmente perché “chi vuole raccontare la guerra deve vederla”. E ripensavo a quel freelance che è partito con un low cost a 7 euro per Odessa per lanciare una carriera ma è tornato a casa con qualche selfie. Ripensavo a quella giornalista indignata contro le filosofe freak in televisione che ridicolizzavano il giornalismo, ma poi metteva l’hashtag a #guerra così da prender più cuori. Ripensavo a quelli che traducono ogni breaking news in italiano e paiono al fronte: ma sono sul divano. Pensavo a voi, pensavo a me.
Se volessi il vostro consenso direi: che Giletti è un cinico saltimbanco che spettacolarizza la guerra, che fa pornografia del dolore, che quello è il punto più basso di giornalismo e i talk show fanno male all’opinione pubblica. Ma alla bullet theory del primo anno di sociologia dei media non ci credo: è l’opinione pubblica che fa male ai talk show, non il contrario.
Ufficialmente Giletti ci informava, la verità è che era lì per intrattenerci, e che gli italiani senza Giletti non si trasformano in Isaiah Berlin. Da quei cellulari da cui scriviamo “è una vergogna” possiamo accedere a ogni tipo di approfondimento: dalle interviste all’ex ministro degli Affari Esteri russo Andrei Kozyrev alle tavole rotonde tra Timothy Snyder, Yuval Harari e Anne Applebaum. Ma scegliamo di vedere Giletti che accarezza un gatto che sarebbe il “simbolo della vita che vuole andare avanti”. Forse meglio così, se gli italiani leggessero l'intervista a Kozyrev inorridirebbero: l'intervistatore descrive il menù pranzo mentre i due parlano di bambini morti.
Giletti insegue quello che su internet prende tanti cuori. Solo sulla mia timeline: l’uomo a cui i russi hanno sterminato la famiglia ma stringe teneramente il suo gattino, la politica scalza che si autoscatta col fucile, i droni ucraini che fanno esplodere i carri armati e la vecchia che avvelena i soldati. La guerra è un contenuto social come un altro. Sì, se lo consideriamo un giornalista ci pare lunare, ma lui fa soprattutto televisione: per questo quando in diretta si son sentiti gli spari, Giletti ha urlato al cameraman disorientato “Non stare su di me, stai su quello che c'è intorno”, per poi dirgli “Stai qua vicino a me! Stai qua vicino a me”. Perché “Ci vuole coraggio per star sotto le bombe” dice Giletti di se stesso.
Poi camminando tra i cadaveri che stava riprendendo racconta d’esser stato sorpreso da una donna in lacrime, e ammette con la coda di paglia a fuoco “pensavo mi rimproverasse perché stavamo violando un momento privato”. Anche Giletti ha un po’ di pudore, ma quella gli dice “mostrate tutto, la gente deve vedere”. Un aneddoto simile lo racconta Lynsey Addario, la fotogiornalista che ha scattato la foto di una madre e i suoi due figli mentre tentavano di attraversare il ponte del fiume quando un colpo di mortaio li ha uccisi. In quel momento Addario ha pensato a due cose: “Non posso fare questa foto. Devo fare questa foto”.
Giletti non è lì per documentare, è lì per intrattenerci. Ma gli può capitare persino di fare informazione. Può succedere anche l’inverso, come a Clarissa Ward, che sta documentando per la Cnn il dramma dei profughi, e a un certo punto in diretta si interrompe per aiutare una vecchia con il trolley: fa televisione proprio come quando Giletti chiede all’operatore di stringere sulla bandiera dell’Ucraina trovata tra le macerie e di cui ha “immenso rispetto”.
A voler pensare male si direbbe che Giletti pur di far televisione trash (nel senso di Labranca) abbia indossato il giubbetto antiproiettili con scritto “press” così da potersi permettere di tutto, anche di dire che l’occidente ha le sue colpe e spostare il circo al fronte, e “c’è odore di morte, ma non possiamo farvelo sentire”. Sa che il pubblico si dividerà tra gli “sei la versione maschile di Barbara d’Urso”, e i “che coraggioso, che bravo”, anche se si riprende alle due di notte per raccontarci che compie sessant'anni sentendo le sirene di Odessa che annunciano un attacco aereo. Peccato solo per quel perfido di Mentana, che sa fare tv e riconosce i trucchi o le crisi di terza età, e gli rovina il pathos: “Quindi questo lo hai girato per farti fare gli auguri, Massimo?”.
editoriali