Comici a Parigi

“Drôle” è la serie che ci ricorda come la fiction sia più divertente della realtà

Fanny Herrero, la sceneggiatrice della fortunatissima “Chiami il mio agente!”, ci riprova. Sei puntate sono già su Netflix. Altroché Lol

Mariarosa Mancuso

Fanny Herrero ha messo bene a frutto il successo di “Chiami il mio agente!”. I diritti per i remake sono stati venduti ovunque, in Italia ci sta lavorando Sky, poi la serie avrà la sua versione inglese, greca, spagnola, ceca, polacca, indonesiana, sudcoreana. I capricci degli attori sono internazionali, le sofferenze degli agenti pure: “Siamo considerati o Babbo Natale o il mostro cattivo, senza niente in mezzo”. E’ riuscita ad avere nella versione francese Monica Bellucci (che chiede all’agente di trovarle un fidanzato) e Isabelle Huppert (che lavora in contemporanea su un paio di set, e se c’è una scena a letto approfitta per dormire). Nella serie britannica ci saranno Helena Bonham Carter, Dominic West, Jim Broadbent, amabilmente presi in giro per le loro manie.

 
Netflix ha contribuito al successo della serie (finché la si poteva vedere solo su France 2, rispetto al vasto mondo dello streaming era un prodotto di nicchia). E ha messo sotto contratto Fanny Herrero per un bis. Altra serie, altro mondo, altre dinamiche: su suggerimento del comico Gad Elmaleh – nato a Casablanca, vive in Francia, ed è l’unico francofono che abbia fatto con successo spettacoli di stand-up in inglese negli Stati Uniti – ha esplorato i locali di cabaret. Un “Saranno famosi” in miniatura, senza esercizi alla sbarra e gorgheggi: la comicità non si può insegnare, e nello stesso tempo richiede una grande abilità tecnica.

  
“Drôle - Comici a Parigi” è il titolo della nuova serie, sei puntate già su Netflix. Scritta e recitata da cima a fondo: Fanny Herrero ha scelto gli attori e ha scritto i monologhi, resistendo alla tentazione del documentario o del reality con sfigati veri (o degli esperimenti falliti come “LOL – Chi ride è fuori”). Siccome sa cosa sono – e come si fanno fruttare – gli archi drammatici e lo sviluppo dei personaggi, non si è fidata degli aspiranti comici veri. Ha preferito inventarli per meglio governarli. La fiction, se affidata a professionisti, è molto meno noiosa della realtà. Senza contare il fatto che i veri aspiranti comici lanciati nel gigantesco mondo di Netflix sarebbero diventati famosi all’istante, confondendo le carte.

  
I comici a Parigi sono quattro, a diversi stadi del mestiere. Aïssatou ha le treccine in testa, ci prova da tanto, ed è l’unica che nella serie azzecca subito il suo monologo, passando da 15 spettatori in un teatrino squallido a 370 mila visualizzazioni – segue interessante proposta di un impresario. E’ anche l’unica a scavalcare allegramente le regole di pudicizia e gli algoritmi di Netflix: sono algoritmi e quindi lasciano passare la parola “dito” e la parola “culo” nella stessa frase, mentre gli spettatori si ammazzano dalle risate. Il consorte si diverte un po’ meno, pensa sia stata violata la sua intimità, ogni volta che sente “dito” pensa stiano ridendo di lui.

  
Nezir vive dal solo con il genitore molto malmesso in un casermone nella banlieue, per mantenersi fa le consegne in bicicletta per Yummi Click. I soldi non arrivano alla fine del mese, ma le canne sono gratis, fornite dagli amici criminali. Bling ha avuto i suoi momenti di gloria, è di origine vietnamita e gestisce il locale dove tutti lavorano, in turni precisi e pagando all’uscita, offerta libera (Mrs. Maisel, quando voleva un turno migliore per il suo incapace marito si presentava con la pentola dello stufato). Apolline è una ragazza della buona borghesia parigina che dovrebbe fare uno stage da Christie’s ma preferisce il palcoscenico.

   
Multietnici, e tutti sotto i trent’anni. Decisissimi a distinguersi nel peggior lavoro del mondo: fare ridere con le parole, microfono in mano e pubblico quasi mai compiacente. 
    

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