Gorodskij Kair
Cairo il sofista. Non è libertà, è questione della tenuta mentale e morale de La7
Se la stampa seria mondiale non propala bufale, la conclusione non è che la libertà è morta
Con il suo stile gentile e piano, che sarebbe sciocco negargli in quanto virtù di un editore, Urbano Cairo ha replicato alle critiche riguardanti il palinsesto de La7 e la gestione dei talk show, parlando qui ieri con Salvatore Merlo. Rispetto all’annaspamento confuso del vertice della Rai, alle prese con quel litigioso e inutile fossile di stato che è la commissione di Vigilanza, roba da Nord Corea, Gorodskij Kair, che è Urbano Cairo secondo la libera trascrizione da un ideale alfabeto cirillico per un sistema che non lo mette in stampa, si è messo addirittura un passo avanti. Non è un satrapo, dice, e in effetti non emette circolari su chi debba essere ospite nei talk show, non dispone imperiosamente e censorialmente dell’autonomia deontologica dei suoi giornalisti e conduttori. Pensa che l’Ucraina è vittima di un’ignobile aggressione, punto, almeno per quel che riguarda il suo orientamento personale, ma non vuole mettere il bavaglio ai suoi. Ineccepibile, in apparenza.
Eppure anche lui avrà notato che il Corriere della sera, di cui Gorodskij Kair è editore, racconta quel che succede e ha una filiera di commentatori che si muove con competenza e forza interpretativa sulla linea dei fatti. Emergono voci dissonanti, è presente il pensiero geopolitico “realista” che dubita della stessa bontà del sistema di difesa collettiva chiamato Nato, si offre uno spazio misurato anche a qualche folleggiante incursione del mondo fiancheggiatore di Putin; storici e consulenti militari, oltre che opinionisti politici, estraggono dalla guerra un insieme di significati verificabili, d’accordo o no che si sia con le singole prese di posizione e con le diverse analisi, e il risultato è una libera opinione informata. Più o meno quello che accade con il Financial Times, il Times, Le Monde o i giornali americani, che non sono univoci e causano spesso preoccupazioni alla Casa Bianca o al Pentagono o a Downing Street per la disinvolta libertà che si prendono nelle notizie e nei commenti, ma si attengono a un linguaggio serio, adatto alla formazione di un giudizio complesso su una faccenda piena di risvolti tremendi. La libertà di opinione e il circo mediatico-bellico sono due cose diverse, dunque.
Nelle redazioni dei giornali d’informazione si sorride quando si sente parlare della distinzione tra armi difensive e offensive, missili e cerbottane, nessuno chiede la resa immediata agli ucraini o nega ricostruzioni fattuali di stragi di civili, non ci si azzarda a rovesciare la frittata e a far passare per aggressori gli aggrediti, non si attribuisce carattere di provocazione alla libera scelta di paesi neutrali che sono minacciati in favore dell’alleanza atlantica:
Non ci sono rivalutazioni sghembe del Ventennio o del Terzo Reich, non esplodono i narcisismi comici di professori della serie B promossi nella serie A della Grande Storia per il loro quarto d’ora di fama, si ignorano gli aspetti grotteschi o anche solo petulanti e sprovveduti della discussione senza regole e senza fatti di riscontro.
Ora l’editore dovrebbe riflettere: se questo è vero, ed è vero, e se il palinsesto della chiacchiera a ruota libera de La7 fosse davvero il santuario della libertà d’opinione, vorrebbe dire che la stampa internazionale, che si muove su una linea liberale e occidentalista e non anarcosituazionista, rappresenta una pericolosa involuzione e chiusura censoria della democrazia. E siccome gli stessi metodi della carta stampata sono impiegati dalle all-news e dalla stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione televisivi del nostro mondo, inglesi americani francesi tedeschi spagnoli dalla Bbc alla Cnn, oltre che dal telegiornale di Mentana; siccome da nessuna parte spuntano le bischerate putiniane e i negazionismi tipici del talk show di fattura nazionale italiana, la conclusione non è che la libertà è morta in occidente, è piuttosto che qualcosa non funziona nella tv dell’editore del Corriere. Non è in questione il potere di un satrapo che sacrifica ai suoi capricci la libertà e l’indipendenza dei giornalisti, è in questione semmai la tenuta mentale e morale di un mezzo di comunicazione di larga udienza e influenza.
E qui Kair si è prodotto in un ragionar sofistico di rilevanza decisamente notevole. Dice che la gente mica è scema, sa distinguere, ci siamo tutti vaccinati anche se dai talk show sembrava che la maggioranza dei cittadini fosse contro i vaccini anti Covid, figuriamoci se credono alle balle su Bucha o sulle armi o sulla pace come sottomissione. Anche noi avevamo detto, in sede di critica disincantata, che non è così grave per le sorti della guerra e della pace l’emergere di una armata Brancaleone di pseudopacifisti putiniani. Ed è così, lo riconosce anche Cairo. Ma se sono balle non credibili, un editore non sofistico dovrebbe interrogarsi sul senso di un’impresa di informazione e di cultura che caccia quelle stesse balle alle quali nessuno crede. La guerra e la pace saranno decise altrove, ovvio, ma la dignità e la serietà dell’informazione sono decise lì. Non è vero, daragoi Gorodskij Kair, caro Urbano Cairo?