abbandonare la nostalgia
A chi mancano i Telegatti
Guardiamo la tv di oggi convinti che quella di ieri fosse migliore. Ma l’unica differenza è che prima i soldi giravano
Visto a distanza, il mio LinkedIn non è affatto male. Ci sono molti lavori che fanno la loro bella figura e altri potenzialmente belli ma che non mi sono mai stati pagati, diventando dei passatempi gravosi. Ma il lavoro migliore finora, sperando non si offendano i miei attuali capi (in questo momento sono quattro, una è la vicedirettrice della testata che state leggendo, con cui mi scuso già per il ritardo nella consegna del pezzo), è stato essere pagata per guardare la tv degli anni 80 e 90. Collaboravo a un ambizioso progetto di digitalizzazione ed estrazione di contenuti dall’archivio dei programmi Mediaset con l’obiettivo di creare una biblioteca digitale di indubbio valore storico. Il fatto che mentre tiravo su questo po’ po’ di roba approfittavo dell’accesso al server di Mediaset per guardare con i miei amici “Film Privato”, il documentario su Paola Barale e Raz Degan che viaggiano limonando tantissimo, è un altro discorso.
Rivelo questo uso privato della VPN aziendale ora che questo lavoro non lo faccio più, ma ci tengo a sottolineare che in orario d’ufficio ero una ricercatrice niente male, direi ostinata: potevo passare giorni e giorni a scandagliare tutte le puntate di una edizione della “Ruota della Fortuna” per trovare il frammento originale del signor Gianfranco e le Amazzoni che vinsero battaglie grazie alla loro figa, ma potevo anche molto diligentemente guardare e sclippettare (cioè tagliare i frammenti più interessanti o celebri di una trasmissione per pubblicare la singola clip online cercando disperatamente di dribblare gli inserimenti promozionali) tutte le puntate di un programma televisivo. Alcune volte sono stata fortunata, come quando ho dovuto guardare tutte le edizioni dal 1991 al 2000 di “Mai dire Gol” e i suoi derivati; altre volte meno, come i mesi che ho passato a guardare puntate di “Generazione X”, il programma quotidiano del 1995 condotto da Ambra Angiolini con un gruppo misto di tardo adolescenti che troppo spesso volevano esprimere i loro pensieri con il rap.
I sentimenti si complicano quando ripenso alla consegna che avevo ricevuto dopo qualche mese che lavoravo all’archivio: dovevo riguardare tutte le edizioni del Gran Premio Internazionale dello Spettacolo, meglio noto come “I Telegatti”. La prima edizione è del 1984, l’ultima del 2008, 23 premiazioni (nel 2005 non andò in onda per rinnovare la tipologia di premi) che dovevo guardare e sclippettare per trovare video interessanti e, siamo onesti, utili per la commemorazione di qualche defunto passato o futuro. Reagisco alla consegna con entusiasmo smodato, lo racconto al fidanzato e agli amici, gli stessi del documentario di Raz Degan che ora festeggiano la possibilità di rivedere i Telegatti. Ma io, loro e tutte le persone che recentemente si sono lamentate del ritorno dei Telegatti senza lo show eravamo vittime del più grande effetto Mandela della televisione italiana: ci siamo convinti che le serate dei Telegatti fossero bellissime.
Io temo di sapere perché ne fossi così convinta. C’è una piccolissima galleria a Milano in pieno centro, parallela a Corso Europa, dove si trovava la sede di TV Sorrisi e Canzoni e dove è rimasta la nostra Walk of Fame: decine di firme e impronte nel cemento dei premiati ai Telegatti, da Sandra e Raimondo a Steven Seagal, da Marco Columbro ad Angela Lansbury, da Arnold Schwarzenegger a Raffaella Carrà. Ci portavo i ragazzi che frequentavo per capire se erano “giusti”: se guardando quell’emulazione fallita di Hollywood i loro occhi brillavano di felicità, avevano qualche chance; se si limitavano a un generico “Che storia”, potevo anche andare in Largo Augusto, prendere la 60 e tornarmene a casa. Dovevo aver messo insieme tutti i nomi letti su quel pavimento, qualche frammento rivisto per caso e molto fermento ormonale per creare un ricordo così positivo.
In realtà i Telegatti sono una noia mortale. Dopo una settimana di visione e montaggio ero a malapena all’edizione del 1989, non facevo altro che mugugnare “Music is the show with Sorrisi Superstar” – prima sigla dei Telegatti, meno famosa di “Sorrisi is Magic, Sorrisi Forever”, ma con un testo altrettanto delirante – e lamentarmi di quanto fossero lunghe le puntate (minimo tre ore), straripanti di tempi morti e siparietti mal riusciti. Il magnanimo principale che mi vedeva in difficoltà mi disse di guardare solo le edizioni fino al 2000, potendone saltare così sei edizioni, a cui andava aggiunta anche quella del 1994 che risultava dispersa. Piccola parentesi su questa sparizione: il mio lavoro di sclippettamento subentrava dopo la fase di digitalizzazione dei master originali dei programmi, che nella maggior parte dei casi erano show mai più replicati e di cui esisteva solo il Betamax o altro supporto originale e nessun’altra copia. Qualcuno sosteneva (tutto da verificare) che in passato ci fosse l’usanza di regalare per il pensionamento di una maestranza il master di una puntata di uno show a cui aveva lavorato – ad esempio, se un cameraman aveva lavorato per anni a “TeleMike”, per la pensione poteva ricevere una penna Montblanc, una caricatura fatta dal collega con la passione per il disegno e il master originale della puntata numero 124 dell’edizione 1989-1990, rendendola ufficialmente introvabile per chiunque altro. Il fatto che l’edizione 1994 dei Telegatti fosse dispersa fece pensare ad alcuni che forse era stata regalata per la pensione di qualcuno.
Io posso capire l’esproprio proletario di una delle centinaia puntate di uno show quotidiano, ma quello di un’edizione del premio più importante della televisione italiana inizia ad essere meno giustificabile. Magari per il pensionamento di un dirigente, o di Corrado stesso, ma è comunque un dono eccessivo. Probabilmente non c’è niente di vero in questa storia, magari adesso l’edizione del 1994 è stata digitalizzata ed è pronta per essere tagliata da qualcuno che non sono io – grazie al cielo. Io ero solo felice di poter saltare tre ore dell’ennesima cerimonia in cui Piero Angela ritira l’ennesimo Telegatto mentre la presentatrice lo ringrazia per aver reso comprensibile delle materie così faticose e ostili per il pubblico, dando delle bestie ai telespettatori, e poi sbaglia il numero dei Telegatti ricevuti – Angela, che merita tutti i Telegatti di questo mondo, non corregge e sorride. Oppure l’ennesima consegna di un premio a un attore tedesco che interpreta un ispettore si trova accanto una presentatrice che in italiano e senza il supporto di un traduttore fa un’osservazione tipo: “Ma lo sa chi è un grande ammiratore della sua serie? Il presidente Cossiga! Credo faccia molto piacere questo!”, e l’altro risponde con un silenzioso e tesissimo sorriso. Oppure quella volta che per premiare una serie di fantascienza hanno fatto salire l’attrice protagonista mandando l’effetto sonoro di un temporale e fingendo che stesse per succedere qualcosa di tremendo che evidentemente non si riesce a far accadere e allora si va in pubblicità senza nemmeno annunciarla.
Il momento più rappresentativo del sontuoso delirio telegattiano è la consegna del premio al Miglior personaggio maschile 1993. E’ possibile vedere integralmente questo momento su YouTube (prego, non c’è di che), ma vorrei comunque accompagnarvi in questi 6 minuti e 15 secondi. L’edizione del 1993, la nona del Gran Premio Internazionale, è condotta da Corrado e Milly Carlucci. La struttura della serata è sempre la stessa: i presentatori della serata presentano i presentatori delle singole categorie che a loro volta presentano il vincitore. Ogni singolo passaggio dura vari minuti che si potevano evitare per stare sotto i 180 minuti, e invece no. Prende la parola Milly Carlucci per annunciare la categoria, Miglior personaggio maschile, e per presentare la presentatrice delle nomination: Sharon Stone. Il gigantesco Telegatto sul palco si gira e da un pertugio nel didietro del gatto esce Sharon Stone con indosso un abito bianco, uno scialletto en pendant e un auricolare per la traduzione simultanea. Scende le scale e si avvicina a Milly Carlucci, che porta un abito maculato monospalla e i capelli rossi acconciati alla Veronica Lake ma ribadisce costantemente che quell’altra è il sex symbol, quella che sta lì a guardarsi attorno passandosi da una mano all’altra la busta con il nome del vincitore.
Carlucci fa le domande nei due stili che usa solitamente la tv italiana con ospite straniero: incontro con divinità di una religione pagana (“Come si diventa un mito?”); ragazzo ubriaco che flirta con una ragazza in Erasmus in Italia (“Qual è il tuo uomo ideale?”, “Ti piacciono gli uomini italiani?”, “Ma sei sempre così sexy?”). Esattamente come farebbe una ragazza in Erasmus che non ne vuole sapere di te ma non ha cuore di mandarti a quel paese, Stone nomina un fidanzato, e Carlucci, esattamente come un ragazzo senza scrupoli, se ne sbatte e insiste. Spesso Milly traduce la domanda dall’italiano all’inglese prima dell’interprete ufficiale, evitando vuoti e dimostrando di essere una professionista migliore delle domande che deve fare. Alla terza domanda Corrado le interrompe per dire che non si è sentito nulla di quello che si sono dette, e ne approfitta per fare una domanda nel terzo stile delle interviste italiane: la suocera – “Ma tu cucini a casa? Sai cucinare? Perché è importante”.
A 3 minuti e 15 secondi vengono annunciati i candidati al premio Personaggio maschile dell’anno: Marco Columbro, Alberto Castagna e Corrado. Questa cosa dei candidati che sono anche i presentatori è una costante di tutte le edizioni, Mike Bongiorno si è consegnato da solo premi per tutti gli anni 80. Qui il problema non si pone perché Sharon Stone annuncia che il vincitore è Alberto Castagna, ai tempi conduttore di “I Fatti Vostri”, pre-Stranamore. Castagna sale sul palco comprensibilmente colpito dall’aver vinto un premio e di vederselo consegnare da Sharon Stone, ma comincia a fissarla un po’ troppo intensamente e a questo punto Carlucci e Corrado lo accusano di “sguardo maliardo” nei confronti di Sharon Stone, che non viene più pronunciato come un nome ma come un brand, tutto attaccato e perdendo delle consonanti, Sceroston. In quella tiritera, Castagna fa una richiesta abbastanza innocente: vorrebbe coronare questo momento irripetibile con un bacio di Sceroston.
Lo spettatore penserà, “Beh dai, un bacetto sulla guancia ci può stare”. Invece Corrado ha un’idea, “fattelo dare come in Basic Instinct”. “Certo,” risponde Castagna, “solo come nel film”. A questo punto non è più chiaro il confine tra ciò che è scritto e ciò che è improvvisato, ma soprattutto non si capisce se Sharon Stone sa cosa sta succedendo. Io avrò visto “Basic Instinct” una volta forse 15 anni fa, ma non ricordo una scena di un bacio che inizia con Sceroston che si allontana da Michael Douglas e lui le dice con accento romano “Eh certo che se t’allontani però…”. Tanto Castagna non riesce nemmeno ad avvicinarsi, perché Corrado si mette in mezzo tra i due dicendo “tu non hai visto il film”. Stone, che chissà cosa ha capito, fa un segno di vittoria per lo scampato pericolo, ed è allora che Corrado si gira verso di lei, le blocca le braccia e la bacia sul collo al grido di “si fa così”. Quando a quel punto Stone si allontana, il siparietto ricomincia: si riavvicina Castagna, Corrado lo blocca, si gira verso Sharon Stone che cerca di nuovo di fuggire viene ri-agguantata da Corrado che la ri-bacia sul collo.
Stone a questo punto deve sfuggire dalla presa senza che passi l’idea che non sappia stare al gioco, e decide di fare un casquè, trasformando un passo di danza in una mossa di wrestling con cui fa sbilanciare entrambi, quasi si ammazza, ma è finalmente libera. Carlucci urla “guarda l’uomo focoso latino!”, Castagna sottolinea la sua sottomissione al maschio alfa dicendo che non proverà più a baciare Sceroston, ma il magnanimo capobranco fa una piccola concessione chiedendo a Stone di baciare il foglietto dove è riportato il nome di Castagna, dicendo “Tiè, così le labbra di Sceroston ce le hai per tutta la vita”. Ringraziandola del pensiero, alla fine Castagna dà questi due stramaledettissimi baci sulla guancia a Sceroston e se ne va, dimenticando il Telegatto sul palco.
Voglio che sia chiaro che non sto cercando il torbido in un video del 1993 guardandolo con “gli occhi del presente” – Sharon Stone il torbido lo vede benissimo anche nel 1993, è palese. Il mio obiettivo è quello di condividere i risultati portentosi che questa Cura Ludovico ha fatto per eliminare la nostalgia che mi affliggeva, male comune dei miei coetanei, così abituati a sentirsi dire che la televisione di una volta era piena di bei contenuti che abbiamo finito per crederci. Ci sono nicchie di genialità e momenti di qualità altissima, ma per lo più quello che c’era erano i soldi, non la genialità. Soldi per far venire “il sex symbol degli anni 90” da Hollywood e cercare di limonarla, soldi per portare una decina di strabilianti attori stranieri in ogni edizione dei Telegatti per i quali il trattamento è sempre “facciamogli incontrare il suo doppiatore italiano”, soldi per portare divinità della musica a consegnare premi per programmi televisivi che manco si godranno la vittoria perché tutti sono impegnati a chiedere “come ti trovi in Italia? Quanto resti in Italia? Ti piace l’Italia?” allo straniero di turno. Soldi per fare il Telegattone gigante che gira, per il red carpet iniziale, per le coreografie con dieci ballerini, e sketch che non entrano.
Tolte alcune oasi felici, vista da molto vicino la tv del passato non ha più inventiva di quella attuale, ha solo molto più denaro per enormi tappeti persiani sotto cui nascondere lo sporco. E’ facile fare una controprova scientifica di questo fatto, considerando che molti degli autori dietro agli show che tanto ci mancano lavorano ancora adesso e la prima cosa che ti dicono quando lavori insieme a loro è “non si può fare niente, non c’è più una lira”. TV Sorrisi e Canzoni ha recentemente rilanciato i Telegatti, senza cerimonia e sostituendo il gatto in bronzo placcato d’oro con una versione in plastica riciclata, “ecosostenibile” – il primo caso in cui il greenwashing non serve a nascondere la distruzione del pianeta, ma le ristrettezze economica. Il pubblico si è indignato, voleva lo show, i grandi professionisti, le maestranze. Invece dovrebbe ringraziare questi tempi dove i soldi sono andati altrove che ci risparmiano ore di uno show (che se durava tre ore nel 1993 ora dovrebbe durarne minimo cinque) in cui gag non entrano e una star internazionale elenca sostantivi di cinque lettere di cose che gli piacciono dell’Italia – donne, pasta, Capri, pizza, aereo (per Los Angeles)
Politicamente corretto e panettone