il culto di Yavin
La nuova serie di “Star Wars” e le sfide per Disney
Come lo sceneggiato dedicato a Obi Wan Kenobi riscrive il futuro della saga. Oggi la realtà supera la fantascienza grazie ai visionari della Silicon Valley ispirati da George Lucas
Dove eravate il giorno della battaglia di Yavin? E’ un interrogativo importante, perché per gli anni e i decenni a venire ci saranno generazioni chiamate a orientarsi in epoche segnate da un “prima” e un “dopo” quella battaglia. Poco conta che sia avvenuta in un universo fittizio. Per la Disney, ormai proprietaria di una larga fetta dell’immaginario collettivo, la cronologia dei tempi galattici è segnata da Yavin e lo saranno anche film e serie tv che i nostri figli e nipoti vedranno per lungo tempo su schermi grandi e piccoli e probabilmente anche nel metaverso.
Per chi era già capace di intendere e volere nel lontano 1977, la battaglia di Yavin era l’epico scontro finale di un film, “Guerre stellari”, che lasciò senza fiato un’intera generazione per gli effetti speciali mai visti e gli straordinari duelli con le spade laser. Una storia mozzafiato ambientata “tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana”. Nascosti sulla luna Yavin 4, al riparo dall’omonimo pianeta, un’armata caotica di ribelli guidati dal giovane Luke Skywalker quel giorno sconfisse il perfido Impero e distrusse la terribile Morte nera, una finta luna rimasta negli incubi degli adolescenti di allora. Nessuno all’epoca realizzava che fosse l’inizio di un’èra immaginaria che in 45 anni si è sviluppata fino a diventare un complicatissimo universo, dove il tempo si indica in anni BBY e ABY (“’Before’ and ‘After’ the Battle of Yavin”, prima e dopo quella battaglia stellare).
In questi giorni, in simultanea in tutto il mondo, Disney+ ha riportato l’orologio della fantasia indietro a 10-15 anni BBY, con la serie tv “Obi-Wan Kenobi”, un prequel del primissimo “Guerre stellari” che introduce una finora inimmaginabile serie di eventi nella narrazione delle vite di due giovani eroi, Luke e la gemella principessa Leila, che nel 1977 sembravano semplicemente belli e avventurosi. La dinastia degli Skywalker e tutto il mondo che le ruota intorno, in questi quattro decenni e mezzo sono diventati un complesso intrigo di misteri e traumi familiari da far invidia alle serie tv infinite come “Dallas” o “Beautiful”. Ma muoversi lungo la cronologia del tempo scandito da BBY e ABY offre a Lucasfilm, la casa di produzione di “Star Wars” attratta dieci anni fa nell’orbita del maxi-pianeta Disney, la possibilità di portare avanti all’infinito le avventure immaginate da George Lucas e ora gestite da un esercito di scrittori e sceneggiatori.
In “Obi-Wan Kenobi” scopriamo cosa avesse fatto il protagonista – interpretato da Ewan McGregor – prima di “diventare” l’Alec Guinness che lo interpretò in modo magistrale nel 1977. Mark Hamill e Carrie Fisher, i due ragazzi Skywalker che divennero idoli delle generazioni degli anni Settanta e Ottanta, qui sono ancora bambini, ma la piccola principessa è già una scatenata anticipazione dell’eroina futura (o passata?). La vera star però è ancora lui, il cattivissimo uomo-macchina con la maschera nera e il respiro inquietante che gran parte del mondo conosce come Darth Vader e che per qualche motivo in Italia fu chiamato all’epoca Dart Fener (come se “Guerre stellari” non fosse già abbastanza complicato, da noi abbiamo cambiato anche quasi tutti i nomi originali: il robot R2-D2, per esempio, suonava male in italiano e ci siamo ritrovati con C1-P8). In “Obi-Wan Kenobi”, Darth Vader è al massimo della propria crudeltà, al punto da far impallidire il cattivo se stesso degli anni Settanta.
Quando Disney nel 2012 acquistò la Lucasfilm e i diritti della serie, aveva intuito perfettamente quanto valore economico poteva ancora estrarre da una saga che sembrava al capolinea. La stessa intuizione l’ha avuta portandosi in casa gli eroi della Marvel e creando, anche in questo caso, un universo infinito che promette ancora molte generazioni di Avengers. Nei 200 miliardi di dollari di valore di Borsa della Walt Disney Company, i due universi fantasy rappresentano una larga fetta delle entrate, anche perché alimentano una miriade di parchi a tema e linee di merchandising. A Disney World in Florida, per esempio, è stata appena inaugurata l’ennesima “esperienza” ispirata a Guerre stellari. Si chiama “Star Wars: Galactic Starcruiser” e nel mondo reale sarebbe un albergo di lusso, ma nella finzione permette agli ospiti di immergersi completamente nel mondo degli Skywalker, avere l’illusione di trovarsi su una nave spaziale e vivere avventure galattiche in un ambiente fatto di realtà virtuali e aumentate e di personaggi mascherati da Chewbacca. Il tutto al modico prezzo di 6.000 dollari per un viaggio galattico con due notti di pernottamento per una famiglia di quattro persone (ma ci sono anche le suite da 20.000 dollari). Drink, gadget, mance ed extra esclusi.
A Disney più che la battaglia di Yavin interessa la battaglia dello streaming contro le armate galattiche di Netflix e Amazon e l’arma per farlo è tenere alto il livello della passione per la serie stellare. In questo scontro, avere in casa Star Wars e Marvel è come andare a combattere contro i droidi armati delle spade laser dei guerrieri Jedi: quasi sempre è una vittoria.
“Obi-Wan Kenobi” conferma la bravura dei creativi di Lucasfilm-Disney e sta conquistando i fan, forse più di quanto non abbiano fatto altre serie recenti come “Il Mandaloriano” o “The Book of Boba Fett”, ambientati pochi anni dopo la battaglia di Yavin. Merito anche del ritorno alle origini, a quando tutto è cominciato 45 anni fa. Non era scontato, perché il mondo dei fan di Guerre stellari è complicato quanto l’universo parallelo creato da Lucas e molto suscettibile. Gli autori, molti dei quali non erano ancora nati all’epoca del primo film, devono oggi muoversi in un complesso mondo che ha costruito tradizioni di tipo quasi religioso. Quando Disney prese la guida di questo universo, cominciò a fare i conti con come gestire il cosiddetto Canone di Lucas, la complessa narrazione che il regista californiano nel 1977 decise di far partire dall’Episodio 4, diventato la Trilogia originale insieme agli Episodi 5 e 6 (“L’Impero colpisce ancora” del 1980 e “Il ritorno dello Jedi” del 1983).
Passarono 15 anni prima che Lucas presentasse la Trilogia prequel, quella di “La minaccia fantasma” (Episodio 1, 1999), “L’attacco dei cloni” (Episodio 2, 2002) e “La vendetta dei Sith” (Episodio 3, 2005), con infinite discussioni tra i fan che non sempre apprezzavano le scelte fatte dall’autore per spiegare la storia rispetto ai tre film iniziali. Ma Lucas era ormai così immerso in un approccio quasi religioso al Canone da essersi spinto a immaginare in Episodio 1, per il piccolo Anakin Skywalker (il futuro Darth Vader-Dart Fener), una nascita da una vergine, resa madre in modo misterioso dalla Forza. Poi arrivò la Disney e la Trilogia sequel, sviluppata tra il 2015 e il 2019 in un’America profondamente cambiata, fu pensata anche all’insegna del politically correct, con un’eroina donna, un eroe nero, tanti volti asiatici e ispanici e anche un primo bacio gay. Anche gli Episodi 7, 8 e 9 (“Il risveglio della Forza”, “Gli ultimi Jedi” e “L’ascesa di Skywalker”) hanno diviso il mondo dei cultori delle guerre stellari, tra apprezzamenti e bocciature per il ritorno in scena degli ormai anziani Mark Hamill, Harrison Ford e Carrie Fisher (morta prima dell’uscita di “Gli ultimi Jedi” e riportata in vita con immagini inedite per l’Episodio 9) e il debutto delle nuove star Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega e Oscar Isaac.
In attesa di un nuovo episodio della saga in arrivo (pare) nel 2023, Disney si è lanciata nella costruzione di una sorta di multiverso dove ogni serie tv, ogni “storia di Star Wars” e ogni serie animata si collocano in qualche punto secondario del Canone. Per sostenere questo nuovo approccio, con Lucas ormai lontano e nelle vesti di “padre nobile” non più coinvolto, sono nati i concetti di “Antologia” e “Legends”, che permettono di creare continuamente nuove diramazioni della saga da piazzare prima o dopo la battaglia di Yavin. E’ il caso di “Obi-Wan Kenobi”, che temporalmente non solo precede di una decina di anni ciò che i figli dei Boomer hanno visto per la prima volta al cinema nel 1977, ma segue di una decina di anni le vicende narrate nell’ultimo episodio che i Millennials hanno visto al cinema nel 2005 (“La vendetta dei Sith”). Un’operazione complessa e pericolosa per la Disney, ma che sembra ben riuscita.
Quel che è certo è che, visto oggi nell’epoca di Disney+ e dello streaming, anche il mondo del primissimo “Guerre stellari” sembra collocarsi “tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana”. Quando Lucas, incoraggiato dall’amico Steven Spielberg, riuscì a concludere le fatiche della realizzazione del suo film fantascientifico, “Star Wars” divenne l’epica di riferimento di una Silicon Valley che era nel suo momento più creativo ed esplosivo. Il film fu concepito anche attingendo alle tecnologie elettroniche che emergevano da quel mondo che era un mix irripetibile, dove convivevano l’alta ingegneria e la cultura imprenditoriale dell’università di Stanford, con la ribellione giovanile contro l’autorità e le strutture tradizionali.
Una miscela che conteneva un po’ di tutto: cultura hippy, sperimentazione di droghe, anticonformismo, pacifismo alimentato dalla ferita del Vietnam, scintille creative legate alla contaminazione tra tecnologia e cultura umanistica, che trovavano il loro punto di riferimento nella rivista-cult Whole Earth Catalog. Lo spazio, dopo lo sbarco sulla Luna del 1969, era per tutti la nuova frontiera. Il primo personal computer di quel mondo, Altair, prendeva il nome dalla saga spaziale “Star Trek” e aziende di videogiochi appena nate, come Atari, avevano all’origine un videogame che spopolava negli ambienti accademici e si chiamava “Spacewar”.
Tra i giovani che rimasero affascinati da “Star Wars” c’erano due amici, Bill Gates e Paul Allen, che due anni prima avevano fondato un’azienda destinata a rivoluzionare il mondo del software: Microsoft. Un anno prima del film di Lucas, altri due giovani cresciuti nella Valley, Steve Jobs e Steve Wozniak, avevano lanciato Apple in un garage. Era una generazione che si immedesimò in Luke Skywalker e molto più spesso nell’avventuroso e indisciplinato Han Solo, che rese celebre Harrison Ford. Il film, con i suoi effetti speciali, le spade laser, le musiche travolgenti e la grande battaglia di Yavin finale, divenne lo sfondo e la colonna sonora del decollo dell’era digitale.
Quarantacinque anni dopo, tutto sembra lontanissimo nel guardare una serie che, nella sua finzione, è ambientata solo dieci anni prima di quella stessa battaglia. La dimostrazione forse più efficace dei tempi che cambiano l’ha data Ewan McGregor qualche giorno fa, postando su Instagram un video girato mentre guidava l’auto e nel quale – parlando con la gravitas di Obi-Wan – ha condannato duramente i commenti razzisti che hanno preso di mira la “cattiva” della serie, l’attrice afroamericana Moses Ingram. E’ un episodio che racconta molte cose, tra le quali il salto tecnologico avvenuto dal 1977, quando non esistevano né internet, né gli smartphone, né tanto meno i social media e girare un video in auto sarebbe stato fantascientifico anche per Lucas.
Racconta un cambiamento d’epoca in cui tutto lo staff di Star Wars si è schierato a difesa della Ingram, denunciando il razzismo che è un altro pezzo della storia poco raccontata di “Guerre stellari”. Nella prima Trilogia i protagonisti erano tutti bianchi, l’unico nero era invisibile: era la voce di Darth Vader, affidata allora come oggi a James Earl Jones, un gigante del cinema americano (una voce che gran parte degli italiani non hanno mai sentito, per la sciagurata scelta di doppiare tutti i film: il nostro Dart Fener, tornato oggi anche in Italia Darth Vader, è il peraltro ottimo Luca Ward).
La Disney ha portato una molteplicità etnica e un’uguaglianza di genere che senz’altro arricchisce la saga e la rende più vera, perché anche negli universi paralleli i pianeti non sono probabilmente abitati solo da maschi bianchi. Ma così facendo ha scatenato i peggiori istinti razzisti, che sembrano avere uno spazio non secondario nel popolo dei fan che dedicano un’infinità di ore a discutere di Canone e Antologia della saga. Un duro ritorno alla realtà per i creativi della serie. E’ probabile però che lo trasformino in altre idee cinematografiche per raccontare, nei decenni a venire, il lato oscuro della Forza.
Politicamente corretto e panettone