il bollettino
Una settimana monopolizzata dalla "guerra alle idee". Ma gli anti Nato italiani hanno finito gli argomenti
All'evento organizzato dal Fatto Quotidiano si è visto il solito revisionismo storico, che addossa tutte le colpe all'occidente. "Meglio la censura di Putin che il conformismo italiano"
Dal 26 giugno al 1 luglio l’appuntamento clou è stato quello online organizzato dal Fatto Quotidiano. “La guerra alle idee”, una serata interamente dedicata alla libertà di informazione (o alle informazioni in libertà) nell’ambito del conflitto in Ucraina. Ad aprire la serata il direttore Marco Travaglio che, prendendola alla larga, ha iniziato a raccontare la “proibitissima” storia del conflitto tra Ucraina e Russia. Conflitto che, ha precisato, “non ha preso il via lo scorso 24 febbraio 2022”. Il resoconto di Travaglio inizia addirittura dai primi del ‘900. Un lungo excursus per arrivare al primo punto chiave di questa vicenda: con la caduta del muro Berlino, “il Patto di Varsavia si scioglie, ma la Nato no”. Da qui si inizia a spigare come di fatto, nel corso degli anni, sia stato l’occidente a tenere alto il livello della tensione con la Russia infrangendo l’impegno a “non espandere la Nato ad est”. Più precisamente, nel 1999 la Nato “inizia a violare i patti inglobando Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria”. Il secondo atto di aggressione verso la Russia si ha poi con l’attacco al loro alleato storico in Europa, quella Serbia di Milosevic “bombardata per 11 settimane senza alcun mandato dell’Onu”. Nel 2004 la Nato torna ad “inglobare" altri paesi europei ad est. Non sono dunque questi paesi che presentano domanda per entrare nell’alleanza atlantica ma è la Nato ad “inglobarli” a danno della Russia. E così, percorrendo questa lunga via crucis sulle colpe storiche dell’Occidente dalla Libia all’Iraq, dall’Afghanistan ai “nazisti” del battaglione Azov, si arriva allo scorso febbraio quando Zelensky “annuncia di non voler rispettare i trattati di Minsk”.
Entrando poi nel cuore del conflitto in atto, Peter Gomez spiega come questa sia a tutti gli effetti una “guerra per procura la cui posta in gioco è il nuovo ordine mondiale". E proprio per questo gli Stati Uniti non mollano per non rischiare di perdere la faccia di fronte a quei "quasi 4 miliardi di persone che non li sopportano”. Questo il motivo per il quale “dobbiamo aspettarci ancora altra guerra ed altri insulti”. Antonio Padellaro, che sembra vestire per l'occasione i panni del direttore dell’Avvenire ripercorre, elogiandole, le parole di Papa Francesco sulla guerra. Il messaggio di fondo è che, nonostante ci siano un aggressore ed un aggredito, “non ci sono buoni e cattivi metafisici”. Non esiste quindi questa presunta netta demarcazione tra russi e ucraini, tra torto e ragione. A seguire Massimo Fini, che non prova neanche a nasconde il suo fastidio per il presidente ucraino, racconta: “Mi indispongono le continue richieste di aiuto di Zelensky”. Per Fini i russi sono tutt’altro che imbattibili visto che “gli afghani li hanno cacciati a suo tempo dalla loro terra”, senza particolari richieste di aiuto. Il giornalista conclude il suo intervento rivolgendo un pensiero carico di solidarietà nei confronti di quei milioni di profughi causati dalla guerra di Putin in Ucraina: “Se si ha davvero senso di appartenenza non si fugge dal proprio paese quando questo in guerra, almeno 8 milioni di ucraini sono invece fuggiti”, sottolinea Fini.
Al sociologo Domenico De Masi il compito di raccontare come gli Stati Uniti “invece di adoperarsi a smantellare la Nato, ne ha potenziato il finanziamento e allargato il perimetro fino ad includervi ben 14 paesi prima soggetti all’influenza sovietica e ora dotati di rampe di lancio puntate contro la Russia”. Ad offrire invece una lettura alternativa del conflitto, tutta incentrata sulla politica interna italiana, è stato Salvatore Cannavò, vicedirettore del Fatto Quotidiano. Per Cannavò la guerra è stata "l'occasione per fare i conti con il populismo, in particolare con il Movimento 5 Stelle". Quasi a dire che prendere posizione nel corso di un conflitto in Europa, schierandosi con l’Unione Europea e la Nato contro l’aggressione da parte della Federazione Russa a danno di un paese libero diventi poco più che un "pretesto" per allontanare i pentastellati dall’agorà pubblica. Non poteva mancare all’appuntamento la filosofa Donatella Di Cesare, secondo la quale politica e media “mainstream” si sono adoperati al fine di introdurre la “guerra in spirito”. Una “militarizzazione del dibattito” vista da Di Cesare come la via maestra per introdurre la guerra nella quotidianità. “La politica – spiega la filosofa – aveva abdicato all'economia prima, poi alla scienza durante il Covid e ora fa lo stesso nuovamente con la guerra. C'è una guerra alle idee”. E se vi chiedeste cosa in concreto sia questa guerra alle idee, a spiegarlo è così la stessa Di Cesare: “La guerra alle idee è una guerra alla democrazia. Tutta la propaganda è costruita intorno alla figura del nemico. Si inneggia alla guerra a difesa di quei valori occidentali che vengono messi in discussione dalla stessa guerra alle idee”.
Arriva così il turno del generale Fabio Mini, secondo il quale il presidente ucraino Zelensky è un “attore e sceneggiatore, anche nel senso napoletano del termine”. Quello in atto “è marketing politico per mobilitare l'occidente nella guerra contro la Russia". E questo perché la realtà che ci fanno vedere è solo quella guardata con gli occhiali di Zelensky, quegli stessi occhiali forniti dagli Stati Uniti. I “registi” d’oltreoceano, spiega il generale, hanno anche dovuto “adattare il personaggio Zelensky ai diversi ambiti e momenti del conflitto”. A seguire entra in scena l’ospite d’onore, l’analista di punta, la firma prestigiosa del Fatto Quotidiano incaricato di raccontare l’andamento del conflitto in Ucraina. Ovviamente parliamo del professore di sociologia del terrorismo della Luiss, Alessandro Orsini. "Ho subito detto che avremmo dovuto fare concessioni territoriali importanti a Putin – spiega Orsini – perché l'occidente avrebbe abbandonato l'Ucraina, come poi è stato. Se porteremo avanti la strategia di espandere la Nato avremo altre guerre. Quello che sta facendo oggi con l'Ucraina Putin lo farà domani anche con la Finlandia appena ne avrà la possibilità”. Per Orsini la Nato è una “macchina impazzita che nessuno controlla. La sua espansione non serve ai diritti dei disoccupati italiani o degli omosessuali. La Nato è un sistema autopoietico. Un sistema chiuso come quello economico che non prende in considerazione i bisogni e desideri dei poveri”, ha chiosato il professore.
La giornalista e scrittrice Barbara Spinelli ha invece rimarcato come sia "quasi migliore la censura in Russia rispetto all'autocensura e al conformismo militante che c'è da noi in Italia con le liste di proscrizione che bollano come putiniani i parere disallineati”. In chiusura, il rettore dell'Università per stranieri di Siena Tomaso Montanari ha richiamato alla mente il periodo emergenziale causato dal Covid per sottolineare come "il vero virus era il dissenso. Oggi con la guerra si è invece passati all'inquisizione per chi parla di complessità. Dubito che il governo dei migliori difenda i valori occidentali. Di quali valori stiamo parlando? Parliamo degli interessi dei ricchi e dei potenti o dei poveri e degli inermi? Dubito che l'articolo 11 della Costituzione ci consenta di rimanere nella Nato”.
Degni di menzione anche l’intervento dello storico Angelo D’Orsi a L’aria che tira, su La 7, secondo il quale “Zelensky non è adeguato a tutelare il popolo ucraino” dal momento che oggi “lo sta mandando al massacro”; e quello del giornalista Toni Capuozzo in collegamento da Pantelleria con il Tg4 per parlare del bombardamento al centro commerciale di Kremenchuk da parte delle forze armate russe. Per Capuozzo i morti causati da quell'attacco rientrano tra quelle vittime collaterali che "ci sono sempre in una guerra". Il giornalista spiega poi come quell'attacco potrebbe essere visto come "un’azione non voluta perché scredita l’immagine della Russia”. Quel bombardamento sarebbe stato dunque casuale e cercato da parte dell'esercito russo. Insomma tornano nuovamente i "dubbi" di Capuozzo, dopo quelli già esternati in un primo momento quando venne alla luce il massacro di Bucha. Ricordiamo però che il giornalista sembrava non dubitare dell’esistenza dei fantomatici Biolab sul territorio ucraino finanziati dagli Stati Uniti.
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