Fenomenologia di Mara Venier. Più nazionalpopolare di lei non c'è nessuno
Le lacrime, i ruzzoloni, il romanesco: tutti gli attrezzi di scena utilizzati dalla zia d’Italia, che sta per battere il record di Pippo Baudo a "Domenica In"
Non si sa più se stia vivendo la terza o quarta “seconda giovinezza”. Si sa però che il prossimo anno Mara Venier batterà il record di Pippo Baudo: quattordici edizioni di “Domenica In” sparpagliate in trent’anni di televisione. Una lunga scia di conduttori alle spalle, Giletti, Bonolis, Magalli, Paola Perego, le sorelle Parodi e altri ancora che oggi sembrano solo tentativi disperati di Viale Mazzini di separarla dal suo programma. Perché “Domenica In” e Mara Venier fanno dei giri immensi e poi ritornano. L’amore vince sempre sull’invidia, sull’odio e sui consigli di amministrazione. Ogni volta c’è un’ultima puntata, un fremito, un “addio in lacrime di Mara Venier”, che è anche uno dei grandi numeri del suo repertorio, come i cliffhanger delle serie tv che ci lasciano in sospeso fino alla nuova stagione.
Era il 1997: “Comunque vadano le cose, questa sarà la mia ultima ‘Domenica In’, il prossimo anno potrei accettare l’offerta di una pay-tv americana”. Andò invece a Mediaset. Tornò e ritornò ancora, ricca e spietata come il conte di Montecristo. Nel 2006, quando Del Noce la fece fuori preferendole il volto “fresco e giovane” di Lorena Bianchetti, s’agitò persino lo spettro di un’oscura pressione del Vaticano. Lui tagliò corto: “Nessuna pressione: Mara Venier ha condotto ‘Domenica In’ per troppi anni”. Non aveva ancora visto niente.
I suoi video Instagram ripresi dai siti dei giornali: “Mara Venier lava i vetri di casa”, “Mara Venier scaccia i gabbiani” (Gualtieri prenda appunti)
Oggi Mara Venier è senza rivali. Serate di gala, eventi, omaggi, premiazioni, feste di Natale per Telethon e naturalmente repliche e controrepliche serali della sua “Domenica In”, indistinguibile oramai da un “Techetechetè” estivo. Mara prende tutto e tutti la cercano, tutti la amano. “Anche i ragazzini mi adorano”, dice lei, scatenatissima pure su Instagram con oltre due milioni e mezzo di follower. Le sue stories sono una sit-com parallela. Una striscia quotidiana di vita coniugale, pranzi, cene, torte, candeline, nipoti. Mara Venier non ha un social media manager perché su Instagram ribadisce che non c’è differenza tra la star della tv e la nonna senza trucco, scalza, coi capelli scarmigliati, che toglie le cacche dei gabbiani nella sua terrazza sopra Campo dei Fiori (le pulizie di casa su Instagram vanno fortissimo e Mara Venier è anche “cleaning influencer”, come Marie Kondo, Sophie Hincgliffe, Lysney Crombie e altre celebri “regine del pulito”).
I suoi video sono sempre “virali”, ripresi dai siti dei giornali con grande enfasi e titoli epici: “Mara Venier lava i vetri di casa”, “Mara Venier in camicione e mutande”, “Mara Venier scaccia i gabbiani” (Gualtieri prenda appunti). Da quando si è trasformata in “Zia Mara” è insomma il Pippo Baudo dei millenials e la Chiara Ferragni delle nonne. Dunque nazionalpopolare, certo, ma fluida, caciarona, paladina dei diritti e va da sé, “icona gay” (“il primo Gay Pride lo vidi a New York, nel 1985, con Jerry Calà, rimasi affascinata da tutto quel colore, a una baraccona come me non poteva non piacere”). Però poi cade sull’abc. In un’intervista con Patty Pravo, tutta all’insegna dell’“ho molti amici gay, io di più,” le scappa un “mio marito però è normale”.
Una storia fatta di cadute, rinascite e botte o involontari colpi di karate del pericolosissimo Luca Giurato. La rissa Zequila-Pappalardo le costò il posto
Siamo sempre lì, tra un Gay Pride a New York e Checco Zalone in “Uomini sessuali”, “sono gente tali e quali come noi, noi normali”. La pancia del paese prima o poi esce fuori. Ma sono proprio queste gaffe che la sintonizzano in modo assoluto con il suo pubblico. Che trasformano Mara Venier in “Zia Mara”. Un personaggio iperbolico ma spontaneo, viscerale, empatico, “tale e quale come noi”. Mara Venier è contemporaneamente dentro e fuori la show-society della tv, regina dei rotocalchi ma con un alone di fiera casalinghitudine che si celebra su Instagram. La sua fluidità è ritagliata su un pubblico che digerisce tutto purché a imboccarlo sia lei. Mara Venier trasforma Achille Lauro nel nipote di tutte le zie d’Italia, solo un po’ scapestrato e con troppi tatuaggi in faccia. Sposa Alberto Matano in Ciociaria, nel resort di Antonello Colonna a Labico. Celebra Padre Pio con Al Bano in prima serata. Non conviene fare tanto gli schizzinosi, anche perché in questi slalom nessuno potrebbe tenerle testa: né Barbara D’Urso (che non andrebbe bene per Padre Pio), né Maria De Filippi (che poteva superarla solo sposando Francesca Pascale e Paola Turci). Soltanto Mara Venier potrebbe far prevalere qualche collega, magari mollando tutto per ritirarsi nella sua villa di Playa Minitas, a Santo Domingo, uno spettro che agita ogni tanto nelle interviste, come Veltroni con l’Africa. Appena può fugge qui col marito Nicola Carraro, milanese, nipote di Angelo Rizzoli, ex presidente di Sperling & Kupfer, ex-produttore cinematografico alla Vides di Cristaldi, oggi protagonista su Instagram della serie, “Le avventure di Bibì e Bibò” (lui è Bibò, Bibì lo fa Stefano Magnanensi, direttore dell’orchestra di “Domenica In”, con cui Carraro s’immortala in gag, balletti, tuffi e siparietti vari, tra Gianluca Vacchi e “Paperissima”).
Quella di Mara Venier, che di cognome fa Povoleri, è una storia fatta di cadute, rinascite e botte o involontari colpi di karate del pericolosissimo Luca Giurato, sparring partner di quelle sfrenate “Domenica In” anni novanta, quando divenne “la signora della domenica”, prima sacerdotessa del trash, in un vortice di twist e trenini con Andrea Roncato e Galeazzi, predicozzi di Don Mazzi, ipnosi di Giucas Casella, fino all’irraggiungibile vetta della rissa Zequila-Pappalardo, che però le costò il posto. E poi ancora scivoloni, fratture, capitomboli, lussazioni, dunque epiche conduzioni col gesso o il tutore posato sul pouf.
Dentro di lei ci sono tante Italie. E’ veneziana ma dalle prime edizioni sfoggia un romanesco fluente, cresciuto con il tempo e la confidenza
Alla seconda stagione di “Domenica In” le arriva la prima gomitata in faccia da Giurato. Viene operata d’urgenza all’occhio destro. Porta una benda per dieci giorni, poi conduce la puntata con gli occhiali scuri, come il Cav in parlamento con l’uveite. Pochi mesi dopo, altro colpo basso di Giurato: lui manca la presa al culmine di un ballo, lei ruzzola a terra, scorrono i titoli di coda. Arriva la barella. Tac alla clinica Villa Letizia e trauma distorsivo rotatorio del ginocchio destro con lesione dei legamenti esterni e meniscale. “Nessuno riuscirà più a schiodarmi dai divani”, dirà lei in qui giorni, “non ballerò più e soprattutto, se proprio dovrò saltare in braccio a qualcuno, sceglierò Galeazzi. Almeno, se cado, atterro sul morbido”. Se insistiamo sulla cartella clinica di Mara Venier è solo per sottolineare che, dai e dai, tutti questi incidenti hanno avuto il loro peso nell’innescare dei processi di identificazione con gli spettatori, nello stabilire un’equazione perfetta tra Zia Mara e il suo pubblico, tanto più quello di Rai 1 che, si sa, ha i suoi inevitabili acciacchi. Questa lussazione continua è però anche il segno d’un vitalismo sfrenato, un’esuberanza strabordante, un approccio fisico alla vita e una limpida metafora della resistenza ostinata della tv generalista: “Io sono ancora qua, eh già”, non è più una canzone in cui Vasco tira le somme sulla sua vita spericolata, ma un pezzo che sembra scritto apposta per lei dal rocker di Zocca (come la “Candle in the Wind” di Elton John, riadattata da Marilyn a Diana Spencer). Quando due anni fa entra nello studio di “Domenica In” con stampelle e carrozzina, circondata da infermieri e assistenti, per l’ennesima frattura al piede, siamo ormai dalle parti del manierismo, dell’artista che cita sé stesso. Grazie a Instagram, gli incidenti si prolungano nel privato. La convalescenza diventa una serie a puntate: Mara Venier scende o sale le scale col gesso, Mara Venier in terrazza con Ferzan Ozpetek che passa a trovarla, Mara Venier aiuta la sua domestica a spolverare il divano, sbattendo i cuscini con la stampella (altro che i filippini sui pattini vessati da Gianluca Vacchi!). Lei però è cattivissima con gli haters. Basta un commento fuori posto sull’arredamento o i quadri alle pareti e il povero sprovveduto viene subito mandato a quel paese e lasciato in pasto ai suoi ferocissimi fan.
Ma qual è dunque il segreto di Mara Venier? Perché e per come si realizza il sortilegio di un personaggio che aggrega pezzi di pubblico così diversi, giovani, anziani, bambini, etero, maschi, femmine, fluidi, femministe o casalinghe che cadono tutti, uno dopo l’altro, tra le braccia di Zia Mara? Prima di tutto, dentro Mara Venier ci sono tante Italie. E’ veneziana ma dalle prime edizioni di “Domenica In” sfoggia un romanesco fluente, cresciuto nel tempo man mano che prendeva confidenza, e che ora rilascia nei punti giusti. Lo usa per bucare la “quarta parete”, oppure nei momenti di rottura del bon-ton, cioè quasi sempre. Magari per duettare con Achille Lauro (“vie’ qua fatte abbraccià”) o per un appello alla pace in Ucraina (“A Putin fermate!”). Il milanese o il milanese-corsivo vanno bene per Mediaset, Instagram e TikTok, ma l’intercalare romano evoca ancora l’ambizione nazionalpopolare della Rai, l’Italia di “Domenica In” e dei film in bianco e nero, l’utopia di parlare a “tutti”, fregandosene delle nicchie ma anche di chi sta fuori il raccordo. Quando invece parte la musica, Mara Venier si scatena, balla, fa la mossa, le viene il fiatone, sale su tutto un furore di reminiscenze arboriane, ed è subito Pedigrotta, fischi a botto, Oi’ Mari’. Insomma, come una grande madre mediterranea, Mara Venier ci contiene tutti: nord, sud, città, province, repubbliche marinare.
Con le magliette è una storia lunga. Celeberrima quella sfoggiata in un collegamento a “Linea Verde”, fine anni 90: “Vuoi perdere peso? Caca”
Rispetto a Raffaella Carrà, poi, non è stata ancora intellettualizzata, spiegata al popolo, celebrata come “musa del pop”, del queer o della liberazione sessuale. Anche questo è un gran vantaggio. Il suo personaggio è semmai un montaggio di cose familiari. Pezzi sparsi di antropologia nazionale che trovano una connessione nella sua figura matronale: la lacrimazione a getto continuo ereditata, questa sì, dalla Carrà di “Carramba”; la scollatura inconfondibile che fa sognare ancora i ragazzini su Instagram, tra la tabaccaia di “Amarcord” e “Grazie Zia” di Samperi (l’epiteto è fondamentale: “Nonna Mara” avrebbe offuscato l’alone sexy di cui s’ammanta, soprattutto da noi, la parola “Zia”). Poi c’è la “stracciarola”. Cioè la Mara Venier che vendeva vestiti usati a Campo dei Fiori nella Roma degli anni settanta, e qui tutto un’eco di Gabriella Ferri, Anna Magnani, Mamma Roma e gattare di Largo Argentina. E ancora la grande passione per i caftani, coloratissimi, abbinati ai sandali flat, con cui Mara Venier recupera il mito di Marta Marzotto in salsa nazionalpopolare. Le due del resto hanno molto in comune: entrambe di umili origini, entrambe alle prese sin da giovanissime con una vita complicata, estroverse, sempre sorridenti, musa di Guttuso e Lucio Magri una e di Arbore e Jerry Calà l’altra, come in un passaggio di consegne tra l’Italia dei salotti comunisti e quella di “Indietro tutta” e “Professione vacanze”. “Faccio dei caftani bellissimi, pieni di colore, che possono indossare le donne, ma anche i gay”, dice Mara Venier che li disegna per la stilista Luisa Viola. Forse anche loro finiranno esposti nelle sale di Palazzo Morando, come quelli di Marta Marzotto, chissà. E poi le t-shirt. Un altro marchio di fabbrica. Quella nera con lo slogan glitterato, “Ciao Zia Mara”, indossata a “Domenica In”, subito replicata su Amazon, dove si possono acquistare anche canottiere, felpe, maglie con la scritta “un saluto a Zia Mara + 20 punti”, frase cult del “fantasanremo” di quest’anno. Con le magliette è una storia lunga. Celeberrima quella sfoggiata in un collegamento a “Linea Verde” verso la fine degli anni novanta: “Vuoi perdere peso? Caca”. Fiume di polemiche a seguire. Lei si difendeva così: “L’ho presa in una bancarella in Giamaica, non vedo lo scandalo, ho magliette ben più hard: un pisello preso da un amo, il papa che fuma uno spinello…”. Di fatto stava creando una moda. Qualche anno dopo Alda D’Eusanio si presenta a “La vita in diretta” indossando l’immortale, “Dalla: non è un cantante ma un consiglio”.
La t-shirt diventa una performance o un segno di protesta. Per rispondere alle critiche della sua tv del dolore, la D’Eusanio entra in studio con una maglietta con su scritto “Bersaglio mobile”. Anche qui, Mara Venier aveva aperto una strada. Qualche anno prima fu coinvolta insieme a Pippo Baudo e Rosanna Lambertucci nello scandalo delle telepromozioni con bustarella. Fu un grave colpo d’immagine. In quei giorni il Codacons invitava i telespettatori a chiamare in diretta “Domenica In” per chiedere l’allontanamento di Mara Venier (l’appello cadde nel vuoto, come sempre col Codacons). Dopo il rinvio a giudizio per concussione si presentò con una t-shirt con la scritta, “Le mani addosso”. Scoppiò in una crisi di pianto durante la sigla e si consolò tra le braccia di Don Mazzi (patteggerà un anno e quattro mesi con risarcimento alla Rai che si era costituita parte civile). Mara Venier era all’apice del successo. Un team di psicologi aveva condotto una ricerca per decretare il profilo dei genitori perfetti, pescandoli tra i personaggi famosi: al primo posto finirono Mara Venier e Fabio Fazio, la mamma e il papà ideali secondo gli italiani. L’esilio a Mediaset aiutò a dimenticare tutto. Mara Venier tornò ancora nel cuore degli italiani. Come sempre, ancora qua, eh già. “Alla mia ‘Domenica In’ manca solo Papa Francesco”, diceva un po’ di tempo fa, “è un uomo straordinario e un po’ imprevedibile”. Ha ragione. E in effetti, non si capisce proprio perché Scalfari e Fazio sì, e lei no.
Politicamente corretto e panettone