Il sacco di Viale Mazzini
Il sacco della Rai. “In Francia sarebbe un affare di stato”, scrive il Monde
Lo scandalo della tv di stato, per decenni spogliata del suo patrimonio, arriva anche sulle pagine del più importante quotidiano francese. Le opere trafugate erano sostituite da falsi o battute all’asta
“In Francia sarebbe un affare di stato. In Italia è solo uno scandalo in più ma che tarda a placarsi, che lavora come un veleno a lento rilascio”, scrive il Monde sulla vicenda, raccontata anche dal Foglio, dei furti al patrimonio Rai. Che, persi da tempo i contorni della cronaca nostrana, ormai è arrivata all’attenzione della stampa internazionale. “Non è il sacco di Roma. E’ peggio – anche senza il fuoco, il sangue, la crudeltà. Perché c’è forse un nemico più triste di quello venuto dall’interno?”, scrive l’importante quotidiano francese.
Per riassumere la vicenda: tutto inizia con un opera in particolare, “Archittetura”, del fiorentino Ottone Rosai, conservata a Viale Mazzini e che durante il lockdown va in restauro. A maggio 2021 il Messaggero rivela che il dipinto è un falso, ma soprattutto fornisce i risultati dell’indagine avviata dalla procura di Roma, a seguito del rapporto della Rai ai pm: una razzia del patrimonio artistico dell’azienda che va avanti da decenni.
All’inizio i carabinieri riescono a identificare il primo dipendente Rai che ha commesso il furto, a quanto pare negli anni Settanta. Venduto l’originale per 25 milioni di lire (circa 42 mila euro), l’ha sostituito con una copia fatta da un geniale falsario. Davanti alla polizia, il pensionato confessa senza esitazione, certo della sua impunità: i fatti sono stati prescritti da tempo. Non è che l’inizio del lavoro per le forze dell’ordine specializzate nel traffico di opere d’arte, il comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC). Sono circa 120 su 1.500 le opere di proprietà della società pubblica fatte sparire dalle sedi di Roma, di Milano, e altrove. Sono state trafugate incisioni di Monet, Corot, Modigliani, de Chirico, ma anche sculture, tappeti, mobili firmati. Tutto acquistato grazie al canone pagato dal contribuente Italiano. Alcune opere sono state sostituite da falsi, in molti casi sono semplicemente “svanite nel nulla”.
Una scrivania, progettata per la sede milanese della tv di stato nel 1951 dall’architetto Gio Ponti, è stata battuta all’asta per 70 mila euro da Christie’s, a Londra, nel 2019. Non si sa in che data il rarissimo mobile è scomparso dalla sede della tv di stato. Interpellata dal Monde, la casa d’aste ha risposto che “non metterebbe mai in vendita consapevolmente un’opera che potrebbe essere oggetto di validi dubbi sulla sua proprietà o autenticità”. Per motivi di riservatezza ha rifiutato di rivelare l’identità dell’acquirente ma ha spiegato che il mobile è stato acquistato nel 2010 dalla galleria Anna Patrassi di Milano, con titoli di proprietà legittimi. Raggiunta al telefono dal quotidiano francese, la gallerista dice di non ricordare dove lo abbia acquistato ma ricorda di esserne entrata in possesso “forse nel 2007 o nel 2008, non prima”.
La commissione parlamentare di vigilanza Rai si è detta, per voce del suo presidente, sbalordita dai fatti “particolarmente gravi”, dai furti, dalle negligenze, dalle bugie che le sono state presentate. L’allora direttore canone e beni artistici di viale Mazzini, Nicola Sinisi, 66 anni, è stato interrogato il 22 giugno 2021. E ha fatto notare che l’azienda (vertici compresi) non ha idea del valore del patrimonio che possiede. “E’ stato acquisito principalmente negli anni Cinquanta e Sessanta e anche fino agli anni Duemila, grazie al canone pubblico”, insiste. “Perché tutte queste proprietà dovevano stare negli uffici di direttori e amministratori?” Sinisi dice che i vari direttori hanno visto le opere d’arte sparire da dietro alle proprie scrivanie senza battere ciglio. E lancia anzi una piccola bomba: questi furti sarebbero stati impossibili senza una complicità interna, sostiene.
L'arte dà problemi anche quando a viale Mazzini non ci arriva proprio. A Natale 2020 la Rai spende 36 mila euro per un presepe pop dell'artista Marco Lodola, dove Maria ha i lineamenti di Gigliola Cinquetti e i pastori quelli di Pavarotti o di Freddie Mercury. L'artista, stanco delle polemiche, decide di non installarlo come previsto nella sede Rai, ma agli Uffizi di Firenze. I 36 mila euro sono serviti per pagare trasporti, personale, materiali. L'ex direttore Rai Fabrizio Salini ha assicurato, in un'interrogazione parlamentare, che il progetto non era mai stato autorizzato ufficialmente. “Rispondere con una bugia a una domanda del Parlamento è inammissibile”, ha ribattuto Sinisi. Che dice di avere, ha a disposizione degli onorevoli, "cinque volumi di documenti che lo provano".
La reazione di Viale Mazzini non tarda ad arrivare. Nel luglio 2021 Sinisi è stato prima sospeso, poi licenziato, dal nuovo amministratore, Carlo Fuortes. Il Monde sostiene di non avere ottenuto risposte alle sue domande da nessuno degli interlocutori contattati. “L'ufficio stampa ha infine dichiarato che era in corso un audit interno”.
“Pensare che opere di Monet o Modigliani possano scomparire senza che nessuno lo scopra, è incredibile”, dice scandalizzato al Monde lo storico dell’arte Tomaso Montanari. I furti dimostrano, secondo lui, quanto poca importanza avesse la cultura all’interno dell’azienda pubblica: “Queste opere erano morte, nessuno le guardava. La stessa Rai dovrebbe avviare inchieste giornalistiche e far emergere la verità. E riguadagnare il suo onore. A meno che la verità non sia troppo inquietante”.
(Traduzione di Enrico Cicchetti)
Politicamente corretto e panettone