Un miracolo tra sole e pioggia. Ritratto ammirato di Paolo Sottocorona
Evviva il meteorologo che dà le previsioni con stile mentre altri amano gridare alla fine del mondo
Questa mano, la mano che ha battuto al computer le parole che state leggendo, ha toccato la mano di Paolo Sottocorona (d’ora in poi PS).
Qualche anno fa ho scritto un libretto semi-comico di poche pagine su Matteo Renzi, e l’editore mi ha intimato di partecipare a una trasmissione mattutina de La7, così ho preso il treno e sono andato a Roma e mi sono seduto accanto ad altri due ospiti-habitué (uno era Marco Rizzo, molto simpatico, abbiamo parlato del suo passato di ultrà del Toro, l’altro non lo ricordo), e ho risposto come meglio potevo alle poche domande di un giornalista molto cortese. Non credo di aver dato il massimo anche perché ero distratto da quello che stava succedendo dall’altra parte dello studio: PS si stava preparando per le previsioni del tempo di metà mattina. Così in una pausa pubblicitaria mi sono alzato e sono andato a salutarlo.
La televisione italiana è diventata non soltanto brutta ma “straziante”, perché infinitamente più vicina di un tempo alla verità
Devo premettere che non guardo quasi mai la televisione. “Devo premettere che non guardo quasi mai la televisione” è, lo so bene, la frase che tutti quanti pronunciano prima di mettersi a parlare di televisione, se hanno una laurea, figuriamoci un dottorato; ma nel mio caso davvero non è snobismo, e non è una astensione appresa nell’infanzia o in gioventù. In gioventù guardavo la televisione sempre, di continuo, a tutte le ore del giorno, e quando vado all’estero mi capita ancora di guardarla. Ma un po’ sono invecchiato io, un po’ si sono moltiplicati i canali di informazione e divertimento, un po’ la televisione italiana è peggiorata, anzi è molto peggiorata, ed è diventata non veramente o non soltanto brutta (la televisione è piena di cose belle e interessanti anche adesso) ma, per usare un aggettivo più adatto, straziante, perché infinitamente più vicina di un tempo alla verità, alla vita vera, agli esseri umani come sono e non come ce li figuriamo, di quella che guardavo da ragazzo: e di cose strazianti è piena l’esistenza, uno non può volersene infliggere delle altre. “Bella, la televisione, eh?”, chiede Arbasino a Simenon in un’intervista degli anni Sessanta. E Simenon: “Mi piace tantissimo. Immensamente”. Ecco, passò quel tempo.
Ma tornando alla mia mattinata a La7, l’unico programma a cui cerco di non rinunciare, se sono a casa o in albergo, è il Meteo di Paolo Sottocorona, non la pillola di metà mattina o delle 13 (mi pare che ce ne sia una anche alle 13, magari ce n’è anche una la sera, sempre condotta da questo Stachanov, ma io non la vedo), ma o i tre minuti delle 7.20 o, soprattutto, i molto più succosi 5-6 a volte 7-8 minuti che cominciano dopo il tg e dopo il bollettino del traffico, verso le 7.53-7.55.
Messi a distanza di 35 minuti l’uno dall’altro, i due Meteo sono pensati ovviamente per pubblici diversi: il primo per chi deve uscire di casa verso le 7.30, il secondo per chi esce alle 8; io che a quell’ora non ho niente da fare a volte me li vedo tutti e due: primo Meteo alle 7.20, poi rapida puntata al bar per fare colazione, poi ritorno a casa e visione del secondo Meteo mentre mi lavo i denti. Tra l’uno e l’altro ci sono differenze essenziali? No, il clima non cambia in mezz’ora. Ma ci sono differenze nel porgere, nel presentare, e si sa che lo stile è tutto.
Se invece sono fuori di casa o devo uscire presto, mi abbevero più tardi al sito de La7, dove a fine mattinata il Meteo delle 7.55 è già caricato, a uso dei fedelissimi. A volte si dimenticano di caricarlo, o s’impalla, specialmente su smartphone, e salta fuori un Meteo di giorni prima, persino di settimane prima, una puntata di luglio a metà settembre. Ebbene, raramente spengo il video, più spesso lo guardo fino alla fine, mando a mente le condizioni atmosferiche di stagioni ormai passate, la notizia di piogge battenti mentre fuori splende il sole. Questo fa di me qualcosa di più di un semplice ammiratore: un devoto, il sacerdote di un culto; anche un coglione, volendo. Devo dunque argomentare, motivare il mio affetto per il Meteo di PS.
“Eccoci, buongiorno”. Non “salve”, troppo informale, non solo “buongiorno”, troppo formale. Parla a un pubblico con cui c’è intesa
“Eccoci, buongiorno”.
Comincia sempre così. Non “Salve”, troppo informale, non semplicemente “Buongiorno”, troppo formale. “Eccoci, buongiorno”, con la o finale di buongiorno leggermente allungata, come se riprendesse un discorso interrotto (di fatto, l’ha interrotto mezz’ora prima) o parlasse a un pubblico con cui c’è una consuetudine, dunque un’intesa (ed è così), rinnovata appunto dalla o allungata di buongiorno; vuol dire: “Eccoci, siamo ancora qui anche stamattina”. Poi inquadrano la prima cartina, con le isobare e gli altri ammennicoli meteorologici, e PS si mette a spiegare pazientemente cose che ha già spiegato mille volte: che cosa vuol dire quella linea, che cosa quel colore… A volte la cartina è la cartina inglese, che ha particolari caratteristiche e proprietà; a volte la cartina è girata di 45 gradi, si vede il Mediterraneo in verticale, un grosso lago oblungo tra Europa e Africa. Arrivati a questo punto, PS non ha ancora rivelato che tempo farà, ma ha dato degli indizi agli intenditori, o anche solo agli ascoltatori attenti: lo zero termico, l’anticiclone africano e quello delle Azzorre, le correnti fredde dalla Russia, quelle calde “dai quadranti meridionali”; soprattutto, la fondamentale nozione del sotto media o sopra media, che specie nella canicola estiva ha un effetto tranquillizzante (“fa caldo, ma siamo a metà luglio, fa sempre caldo in questa stagione, siamo solo leggermente sopra media”).
Siamo pronti per stringere sull’Italia.
Si comincia con la mappa delle piogge, con alcune costanti che è bello ritrovare praticamente ogni giorno: la macchia scura sulla Svizzera che stinge sulla pianura padana, i “rovesci pomeridiani sulle aree appenniniche”. Quindi si passa ai venti, che francamente non si capisce a chi possano interessare, dato che i naviganti avranno il loro bollettino alla radio. Come che sia, intanto si sono fatte le 7.57, chi deve uscire si sta vestendo, sente la voce simpatica di PS che viene dall’altra stanza, la previsione per i due giorni successivi (PS non azzarda quasi mai previsioni che superino i tre giorni, com’è giusto: e se lo fa si cautela moltissimo, avverte che tutto potrebbe cambiare, invita lo spettatore a non dare fiducia a quelle previsioni stagionali, fatte di mese in mese, che spuntano in rete soprattutto d’estate).
La rubrica delle foto scattate dagli spettatori. All’inizio erano banalmente meteorologiche, poi hanno cominciato ad arrivare i paesaggi
Dopo la previsione a 48 ore non ci sarebbe più niente da dire, cioè non c’è più davvero niente da dire, così PS (o i suoi collaboratori? Ha dei collaboratori?) si è inventato la rubrica delle foto scattate dagli spettatori. All’inizio erano foto, diciamo, banalmente meteorologiche: nuvole a forma di fungo, strani ghirigori di luce, arcobaleni; poi hanno cominciato ad arrivare i paesaggi, con una netta preferenza per quelli marini (PS ha uno speciale affetto, mi pare, per la Sardegna e l’alto Tirreno), e insomma non è forse lontano il giorno in cui arriveranno le foto dei pranzi di famiglia, le comunioni. Del resto, le previsioni meteorologiche in tv sono una cosa così antica, così pieno Novecento, che non ci sarebbe niente di strano nell’adeguare l’iconografia tornando all’Italia felice delle polaroid.
In tutto questo non c’è naturalmente granché di nuovo o di diverso rispetto alle vecchie previsioni del tempo – come potrebbe? Il tempo atmosferico è la cosa meno varia che esiste: se non c’è il sole vuol dire che è coperto, o che piove, e tutti gli stadi intermedi, e tutte le minute concause che fanno piovere o fanno uscire il sole non possono proprio interessare lo spettatore delle 7.55. Forse che PS sa qualcosa che gli altri non sanno, forse che le sue previsioni sono più attendibili di quelle dei mille siti online che si aggiornano in tempo reale? Ma no, tutti vanno a tentoni, rimescolando i dati dei satelliti: “It’s a guess. It’s wind, man! It blows all over the place” (Weatherman, con Nicolas Cage – lo stesso film in cui Cage spiegava i vantaggi di una carriera da meteorologo televisivo americano: “Il mio lavoro è molto semplice: due ore al giorno, più che altro leggendo dal gobbo, guadagno 240.000 dollari l’anno, più gli eventi extra-televisivi”). E allora? E allora tutto sta nella presenza, nei modi, nella voce…
PS si veste correttamente, senza eccessi di eleganza ma senza sciatterie; giacca, ma senza cravatta; sotto la giacca, maglietta o maglia o dolcevita piuttosto che camicia. Tinte scure, in genere, forse anche per risaltare contro il fondo chiaro delle carte meteorologiche. Mentre sugli altri canali a leggere il meteo ci sono tipi azzimati con completi lucidi da agenti immobiliari, PS ha l’aria di vestirsi sempre così.
Il tono è quello di chi ci crede, ma non poi tanto. It’s wind, man: e questo è un uomo che ha vissuto, che ha accumulato esperienze, che conosce i limiti del sapere umano, perciò è cauto, circospetto, e avvolge d’ironia ogni previsione che guardi al di là dei due-tre giorni canonici; non mette minimamente in dubbio il mutamento climatico, ma non ne deduce scenari apocalittici, e non lo usa come passe-partout, per spiegare fenomeni che possono avere spiegazioni più banali e meno allarmanti. In questo paese di esagitati, è uno che mantiene la calma.
Questo complesso di virtù torna prezioso soprattutto d’estate, quando com’è noto gli altri meteorologi danno di matto. Forse l’unica cosa che riesce a intaccare l’aplomb di PS è l’irritazione nei confronti dei cialtroni che, copiando gli americani, battezzano cicloni e anticicloni con nomi che vorrebbero essere minacciosi: Cerbero, Caronte, Lucifero, Proserpina – ecco dove si è andata a cacciare la cultura classica all’inizio del secolo XXI. Non che PS citi o critichi esplicitamente questi operai della meteorologia-spettacolo, è troppo signore per parlare male dei colleghi, ma fa capire, ammicca, allude: le persone serie non si mettono a parlare dell’anticiclone Caronte. Sì, fa caldo, fa più caldo di una volta, ma il mondo non è ancora finito, non finirà, non è vero che ieri c’erano cinquanta gradi a Punta Raisi, non bisogna drammatizzare: la scorsa estate era un sollievo trovare questo raro buonsenso, questa moderazione sulle sue labbra, prima di affrontare una giornata di iperboli climatiche fuori controllo.
Chi o che cosa ringraziare per tanta saggezza, per un così bel carattere? Mah.
Dice Wikipedia che per vent’anni, dai primi Settanta ai primi Novanta, PS è stato ufficiale nel servizio meteorologico dell’aeronautica militare, dopodiché ha cominciato a fare divulgazione e previsioni in TV: Montecarlo, Rai 3, La7. In tv, uno pensa, anche un bel carattere corre il rischio di guastarsi (a La7, senza offesa, girano certi guitti…), lui invece no, sembra esserne uscito pulito. Quella mattina a La7 non ho fatto in tempo a domandargli quale fosse il suo segreto, e poi non l’ho più rivisto. Ma d’altra parte, che cosa avrebbe potuto rispondermi? Si è come si è.
Qual è il suo segreto? Qualcosa si può forse dedurre dai suoi amori, il mare e la vela sono passioni che distinguono un animo nobile
Qualcosa però si può forse dedurre dai suoi amori, per il poco che se ne ricava da quei cinque minuti di chiacchiere giornaliere sul tempo (non mi pare che PS vada volentieri ospite in altri programmi, non mi pare che parli di sé sui giornali o in quei non-libri che adesso riempiono le librerie). Ama il mare, e non da turista contemplativo: è un istruttore di vela, ha insegnato ai corsi di Caprera (pensare che io ci ho fatto un corso da allievo, e l’ho mancato!), e il mare e la vela sono passioni che distinguono un animo nobile. Passioni, anche, da consumare soprattutto in solitudine, che è sempre segno di serietà. Ma qualche mese fa ho scoperto un indizio più importante. Non ricordo a che proposito, durante la trasmissione è venuto fuori che nel 1989 ha partecipato alla quinta spedizione italiana in Antartide. L’Italia ha due stazioni di studio in quel continente, e PS ci ha trascorso… quanto? Un mese, un semestre, un anno? Le biografie in rete non lo dicono. Abbastanza, comunque, per tornare diverso. “Un’esperienza profonda sia a livello personale che professionale”, dice la schedina che si trova nel sito uni-met. E saranno parole sue. Ma quelle che gli ho sentito dire durante il Meteo erano più nette: “… il soggiorno in Antartide mi ha cambiato la vita”. E voler partire per il Polo Sud a quarant’anni, e tornarne cambiati, e saperlo e ricordarsene, trent’anni dopo – che altre prove vi servono per lodare?
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