Call My Agent, ossia anche gli attori e i registi italiani sono capaci di autoironia
La serie di Fanny Herrero intitolata nell’originale “Dix pour cent” – la percentuale che in Francia spetta agli agenti – vanta svariati remake. Da da venerdì 20 su Sky Serie e su Now vanno in scena anche i protagonisti del nostro cinema
La scommessa era sugli attori italiani. Si faranno prendere in giro come il format “Call My Agent” prevede? Format, certo: la serie di Fanny Herrero intitolata nell’originale “Dix pour cent” – la percentuale che in Francia spetta agli agenti – vanta svariati remake. Nel Canada francofono, in Turchia, in Polonia. a Bollywood e in Inghilterra. Le ultime due dovrebbero essere nel catalogo Netflix, rispettivamente Amazon, ma in Italia non compaiono; Netflix propone invece la versione coreana “Behind Every Star”.
Visti un paio di episodi, la scommessa sembra riuscita. Gli attori e i registi italiani (non tutti, abbastanza per sei episodi) sono capaci di autoironia. Sull’esempio di Monica Bellucci che nell’edizione francese chiedeva al suo agente di procurarle un fidanzato. La serie era in onda su France 2, quindi una rete generalista, richiamando al culmine del successo 4 milioni di spettatori. E’ durata 4 stagioni, forse una quinta arriverà: la showrunner Fanny Herrero prende il suo tempo per non deludere gli affezionati spettatori.
Sky Studios e Palomar hanno prodotto il remake italiano, da venerdì 20 (e poi ogni venerdì, che gli spettatori imparino a degustare, finite le indigestioni) su Sky Serie e su Now, anche on demand. Regista Luca Ribuoli, episodi scritti da Lisa Nur Sultan e Federico Baccomo. Roma in tutto il suo splendore: gli uffici della CMA – Claudio Maiorana Agency – si affacciano su Piazza del Popolo, per le scene notturne ci sono Piazza Navona e i Fori Imperiali (no spazzatura, appena un salto al Pigneto, per quel che abbiamo visto finora, però c’è il Maxxi, per le prime dei film girati da registi che nella serie vengono solo nominati).
La geniale idea di Fanny Herrero – ormai ha tanti adattamenti internazionali quanto la serie israeliana “Be Tipul” (per noi: “In Treatment”) – ha messo in primo piano gli agenti cinematografici, abituati a stare un passo dietro gli attori e due passi fuori dalla luce dei riflettori. Persone che assieme ai produttori (quando c’erano, e quando fare il film era un rischio, non un’impresa che con i soldi comunque va in pari) davano forma ai film, aiutando gli attori a scegliere i copioni. La cecità su quel che è adatto a noi, e su quel che sappiamo fare bene, è parte della condizione umana, attori e attrici non fanno eccezione. Riunire gli agenti in un’agenzia aggiunge gelosie e rivalità.
Su Zoom, munito di cocktail con cannuccia e ombrellino, il fondatore dell’agenzia Claudio Maiorana vanta le delizie di Bali. A Roma, lavorano Lea, Gabriele, Vittorio e Elvira, la decana che ha in ufficio i manifesti del cinema italiano classico. Ci sono gli assistenti, che portano i caffè (non è molestia, e neanche umiliazione, lo faceva il giovane Spielberg e guardate che bella carriera è venuta fuori). Cercano di carpire i segreti del mestiere, mentre fanno da capro espiatorio per dimenticanze, gaffes, ritardi.
Arrivano gli sceneggiatori “volontari” (insomma, senza contratto) a proporre “queste due solitudini, questi due silenzi”. E arrivano i big come Paolo Sorrentino, molto riveriti mentre l’assistente prende nota di ogni idea: una nuova serie intitolata “The Lady Pope”? Benissimo. Con Ivana Spagna? Magnifico. E se chiamiamo anche Madonna? Ottimo. Sul terrazzo, con il sigaro da Orson Welles, Sorrentino medesimo racconta il dramma delle riunioni scolastiche, esperienza prossima alla morte che rivela l’aspetto peggiore dell’umanità: “L’entusiasmo immotivato”. Gliela rubiamo, adattissima al prossimo brutto film spacciato per capolavoro.
Politicamente corretto e panettone