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Un marziano a sanremo

La Rai avvitata su Zelensky, il viaggio, l'Ariston: cronache da Sanremo

Salvatore Merlo

È la giornata degli arrivi al Festival (per i più fortunati che riescono a raggiungere la città). Ci sono Fuortes e Coletta, tormentati da come gestire l'intervento del presidente dell'Ucraina. L'ultima idea è chiedergli una letterina da far leggere ad Amadeus

Sanremo, dal nostro inviato. È la giornata degli arrivi a Sanremo. C’è l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, il direttore di Rai 1, Stefano Coletta, più una quantità di altri direttori, vicedirettori, sottodirettori, sergenti e caporali della Rai tra i più insospettabili. Nel senso che nessuno ne sospettava l’esistenza. 

La domanda che ancora li angustia tutti, e li contraddistingue, è sempre la solita “come gestiamo Zelensky”. Persuasi come sembrano che gli italiani siano anch’essi posseduti da questa problematica giorno e notte, tranne nei momenti in cui invece del Festival di Sanremo aspettano l’autobus, i papaveri della Rai hanno intavolato un negoziato con l’ambasciata e con il ministero degli Esteri dell’Ucraina. Nientemeno. E bisogna proprio immaginarsi gli ucraini, in guerra, sotto le bombe, che cosa staranno mai pensando di noi. Ma tant’è. L’ultima è che alla Rai vorrebbero da Zelensky una “letterina”. Un testo scritto che poi Amadeus, presentatore e direttore artistico, dovrebbe leggere al pubblico. Non è una battuta. Una letterina. 

Durante la giornata, per ore, l’incertezza altalenante è lo stato d’animo più diffuso. “Video messaggio o letterina?”, “gli ucraini saranno contenti o si offenderanno?”. Sicché la perdurante indecisione ormai porta a ritenere senza alcun dubbio che quando Amleto avanzava sulla scena per recitare il famoso monologo e diceva “essere… o non essere?”, nella pausa fra le due alternative pensasse a Carlo Fuortes. L’amministratore delegato della Rai è senza dubbio egli stesso una delle più grandi intuizioni di Shakespeare. 

Oggi è arrivato anche lui a Sanremo via Nizza, pare. Come fanno quelli sgamati, aereo più macchina. Altrimenti da Roma è pressoché impossibile raggiungere questa cittadina in provincia di Imperia. Strano luogo di mare. Amici certo esagerati ti avvertono: “Attento, non mangiare il pesce ché l’anno scorso stavo per morire”. Ma superata la questione ittica, il problema è il viaggio. Il problema è proprio raggiungere Sanremo. Se non ci arrivi passando dalla Francia, l’alternativa sono otto ore di Trenitalia passando da Genova con un cambio in carrozza “regionale” (e qua già si dovrebbero avvertire i brividi). Non un viaggio. Uno sfollamento. Terribili treni partono con ritardi da tradotta. Persino la conquista di un panino abusivo dà luogo a sbracciamenti selvaggi, soprusi, abbiette suppliche, eroismi da medaglia al valore. “Se continui così guarda che ti mando a Sanremo”, diceva Paolo Mieli ai suoi migliori inviati quando da direttore del Corriere della Sera si arrabbiava e voleva far loro paura. Ecco. E qualche dubbio sulle ragioni per le quali siamo stati mandati noi quaggiù inizia a venirci. Partiti da Roma Termini alle 9 del mattino siamo arrivati alle 20.30 a Sanremo, con una certa invidia per Lucio Presta. Il boss di Sanremo, il potentissimo agente della televisione che qui fa e disfà ogni cosa, arriva in Ferrari e dorme sullo yacht. Oggi, mentre era in Ferrari (o sullo yacht), Presta è stato rimproverato perché ha suggerito in un’intervista di spostare il Festival se non fuori da Sanremo almeno in un teatro più grande. Il teatro Ariston, quello con l’insegna al neon vintage, visto da vicino non solo è piccolissimo, ma sembra pure un abuso edilizio della Sicilia degli anni Cinquanta. Anzi. E’ una delle cose più brutte che ci siano mai capitate di vedere. Nemmeno a Gela costruivano così. Presta giustamente lo vorrebbe sostituire. Mica abbattere (questo teatro andrebbe conservato come esempio luminoso di cattivo gusto) ma soltanto sostituire con qualcosa di più grande. E adatto allo spettacolo televisivo. Ma alla Rai, dove per paura di novità non cambierebbero neppure il barbiere, non sono d’accordo. Ancora non hanno deciso nemmeno su Zelensky, figurati se spostano il Festival.
 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.