Seconda serata
Sanremo è sempre più contest per giovani, nonostante Al Bano, Morandi e Ranieri
La classifica parziale vede Mengoni al vertice ma riconosce il talento di Colapesce e Dimartino, di Madame e di Tananai. Ci si chiede quale luogo dell’Italia reale occupino Sethu, Shari, Will, Olly. L'amarcord degli Articolo 31 e il groove di Lazza. Da stasera, si salvi chi può
Alla seconda serata, il 73° Festival della Canzone italiana a Sanremo comincia ad assumere una sua fisionomia. È la rassegna delle reunion tra coloro che non si sono mai, o ancora, allontanati: Coma Cose martedì, gli Articolo 31 l’indomani, considerando Paola e Chiara Iezzi inseparabili per via di natura. È la kermesse del bene e del male, interpretati testualmente in chiave dance dalla relativista Madame, con maniere un po’ inquietanti nella trasfigurazione di Levante. La passerella che un anno fa esaltava giacche rosa confetto ora si tinge di blu lapislazzuli, nella mise luminosa di Giorgia e in quella esagerata di Luca d’Alessio. Sempre più un contest per giovani, magri, in forma, con i boomer a fungere - nel migliore dei casi - da venerati maestri. E come l’anno scorso, e come l’anno prima, il direttore artistico era probabilmente a conoscenza che il meglio sarebbe arrivato di mercoledì: lo rivela la condivisibile classifica parziale, emersa in sala stampa al primo giro di boa, che conferma sì Mengoni al vertice (quasi a dare un indirizzo alla volontà popolare, protagonista di qui in avanti) ma riconosce il talento di Colapesce e Dimartino, della stessa Madame e Tananai, piazzandoli al top di giornata e immediati rincalzi dell’ugola dorata che vinse nel 2013.
Quello che la graduatoria già chiede, piazzandoli nelle più oscure retrovie, è quale luogo dell’Italia reale, di chi suona, occupano Sethu, Shari, Will, Olly: chi sono? Esistono? Perché sono qui? Come distinguerli? Un’intera onomastica emiliano-romagnola, aggiornata agli anni della milanocrazia imperante, fuor di Festival si arrabatta a non diventare ennesima: che fine hanno fatto Highsnob e Hu, Aka7even, Matteo Romano, Yuman, solo per stare all’anno scorso? Quanta polvere ha già ricoperto Aiello, Fasma, Gaia, Random da Sanremo 2021? Nomi da negozio o da medicinale, repliche dell’uguale, future poltrone da giurato a The Voice: Riki, Alberto Urso, Junior Cally. E prima del Covid, Einar, Federica Carta, Shade, The Kolors: artisticamente, per la maggior parte delle italiane e degli italiani, dormono dormono sulla collina.
A dare corpo al positivo aggiustamento hanno contribuito anche due maniere differenti e storicizzate di fare hip hop in Italia: gli Articolo 31 e Lazza, in scena uno dietro gli altri. Il “bel viaggio” di J.Ax e dj Jad commuove per l’amarcord negli anni d’oro del grande Real, sublimando allo specchio il valore prioritario di un’amicizia duratura. Fatti un giro nel quartiere, vieni a vedere: “Ci siamo odiati davvero / lei t’ha lasciato e ridevo / tua mamma è volata in cielo / e al funerale non c’ero (…) Siamo stati due coglioni, infatti funzioniamo in coppia / nella vita gli amici li scegli / noi siamo quelli che si vogliono bene / anche quando si fanno la guerra, come i fratelli”. Si piange.
A chi c’era, e comprende i riferimenti, il tempo per asciugarsi le lacrime e applaudire Lazza, best seller di streaming e visualizzazioni: entrare dopo la storia di un certo rap in Italia è da vertigine improba anche per chi macina numeri attuali. Il dovuto rispetto si trasforma sùbito in una bella base old school, spolverata di Blanco style ma senza le rose: “Cenere” è promossa per il groove. Vale lo stesso per la discussa Madame, ormai riferimento unico delle ragazze - come Shari Flintstone - che vogliono portare le barre al pop: nessuna provocazione, #nessunacorrelazione, ma il ritornello acid occhieggia a “Push the feeling on” dei Nightcrawlers, discoteca primi anni Novanta, e la strofa nasale conduce al vincente modello Mahmood. Nomenklatura, Datura, usura: crescerà e si farà ballare. Così come “Made in Italy” di Rosa Chemical, aspirante Fibra della fluidità in chiave electroswing, e l’o.p.a. della Rappresentante di Lista -altro marchio a fuoco di questi ultimi anni- sopra le sterminate gambe di Levante (“Vivo”). A bordo piscina rappa anche Fedez, a sorpresa il più politico nella coppia, il cui messaggio antigovernativo contro Valditara, Roccella e Fazzolari non passa preventivamente dal vaglio: forse, si sarà detto da sé, il paese ha bisogno di un siffatto martire volontario del pensiero.
Colapesce, Dimartino e Tananai, a proposito di nomi, cose, città. La musica leggerissima stavolta non si acconcia troppo sanremese, anzi “Splash” è elaborata come sarebbe piaciuto a Lucio Battisti: giusto lo stacchetto di note sovviene, ma nonostante la ridotta immediatezza - e un discreto minutaggio eccedente, unico neo - si piazza ricordando vagamente i giorni belli di Loy & Altomare e New Trolls, “Una miniera”, “Quella carezza della sera”. Classe da vendere: va da sé che i successivi ascolti e la versione da studio la proietteranno ancor più nelle vette della considerazione. Guarda invece alla classicità baglioniana l’ex sbruffone Tananai, che ha facilmente compreso come non si possa prescindere dai tutelari per arrivare davvero: il suo “Tango” lento gode di una grande orchestrazione d’archi, sfiora il concetto di canzone d’autore e offre un’altra immagine - non contrastante né alternativa - del talento che abbiamo imparato a conoscere con i tanti singoli differenti snocciolati nel 2022. “Io tornerò lunedì”, ed è sùbito caccia al rimando: molto bene.
Radio Nostalgia, dal canto suo, ha di che nutrirsi fra artisti in gara e ospiti di molto riguardo. Giorgia era attesa, quasi annunciata dall’8 dicembre: come Marco Mengoni, la sua splendida voce jazz fuori scala non dovrebbe nemmeno porsi il problema della competizione con pischelli e maschere. Eppure “Parole dette male” è una canzone dall’appeal dubbio e contrastato, debole al ricordo dei successi, e càpita pure che l’interprete stecchi provando le scale. La sua strada è in salita, come una sciatrice favorita che giunge ottava alla prima manche (idem per Ultimo, ora decimo), mentre l’albo d’oro non sarebbe mai stato affare per le redivive Paola e Chiara: coreografia da X Factor, balletto da Tik Tok, fuori tempo massimo e pure ingessate. Il figlio di Gigi d’Alessio, Luca, si fa accompagnare alla direzione dal cugino Francesco, da tradizione nei matrimoni napoletani: ma il meglio che il clan familiare sa partorire è qualche strizzata d’occhio all’Umberto Tozzi più intimista, suonando già vecchio più delle fonti.
Secondo Amadeus, evidentemente, ogni occasione è buona per parlare di “storia della musica”, si tratti di “Brividi” o di Al Bano fa lo stesso: nel remake di Canzonissima 1970, Gianni Morandi e Massimo Ranieri duettano e duellano, ancora una volta e per sempre. “Vent’anni” e “Se bruciasse la città” vincerebbero a mani basse contro chiunque pure oggi (non che sia stato scritto molto di meglio, peraltro), e “Perdere l’amore” è una tassa annuale che annoierà per primo il suo esattore. Tra i due, Al Bano fa la figura del terzo incomodo tollerato un po’ a fatica, introdotto forse per volontà superiori a rappresentare plasticamente l’odore delle case dei vecchi.
I sogni terra terra dei giovani carcerati a Nisida (“quando esco voglio andare a Uomini e Donne”, allora stai un po’ dentro...), riportati con monocorde piglio giornalistico dalla spalla Francesca Fagnani, non bucano troppo lo schermo: a Sanremo per far parlare si deve dare scandalo, è cosa nota e pure assai fresca di memoria. La regia panoramica con camera a mano e stacchi veloci induce senso di nausea, niente in confronto all’apertura odierna delle cateratte demoscopiche: l’anteprima quando Amedeo è salito in galleria, sùbito vignetta di Riccardo Mannelli per Cuore, generone rifatto e (mal) vestito casual che entusiasma a bacchetta e si zittisce altrettanto. Guardate bene la classifica parziale della sala stampa, fate uno screen shot perché dopo il prevedibile riflusso barbarico potrebbe essere totalmente stravolta: da stasera, si salvi chi può.