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il lato comico del festival

Sanremo secondo Saverio

Saverio Raimondo

"Tutte quelle volte che non ti sei sentito abbastanza bello, intelligente, in effetti non lo eri. Ma sai, non è che gli altri siano poi tanto meglio". Letterina al Raimondo bambino e un monologo immaginario

Cari lettori, quest’anno ho seguito il Festival di Sanremo da casa. Avrei dovuto essere lì per questo giornale, sul posto, come già l’hanno scorso, per darvi la mia testimonianza, il mio punto di vista, piazzato fuori dal teatro Ariston assieme al sosia di Pavarotti. Ma la Rai – per la quale ho condotto in questi giorni “Aspettando Sanremo” su Rai Radio 2 assieme a Diletta Parlangeli e LaMario – non era in grado di farmi collegare con Roma da Sanremo. I tecnici dovevano andare a cena, a quell’ora. Un po’ come noi telespettatori saremmo dovuti andare a letto, dopo una cert’ora. Mentre invece noi a letto non ci siamo andati, abbiamo fatto le ore piccole per tutta la settimana; mentre i tecnici a cena ci sono andati eccome. Ed eccomi qui, a scrivere al me bambino…

Ciao bimbo, ho deciso di scriverti una lettera. Ogni volta che penso a te mi viene da piangere e non so bene neanche il perché, forse perché non sono cresciuto da allora e sono rimasto alto uguale. Mi manchi, forse perché la paghetta settimanale che prendevi da mamma e papà erano più soldi di quanto io prenda dalla Rai e da questo giornale messi assieme per commentare il Festival di Sanremo. Sai, la gente mi riconosce per strada e mi chiede selfie insieme. Poi si scusa: mi scambiano sempre per un altro.

Tutte quelle volte che non ti sei sentito abbastanza bello, intelligente, in effetti non lo eri; ma sai, non è che gli altri siano poi tanto meglio

E’ una bella sensazione venire apprezzato da milioni di persone, poi sai, non piaccio proprio a tutti, per esempio a me faccio schifo. Il tuo futuro? Una premessa: ho sempre cercato di renderti fiero, tutto quello faccio lo faccio per te, per il bambino che sono stato. Ma c’è una cosa che mi fa stare male in qualunque fase della mia vita, che mi accompagna dalla cameretta fino ai red carpet. E’ un pensiero fisso nella mia testa: l’avrò chiuso il gas? Quando ci penso vorrei solo poterti abbracciare forte, perché quando ho pensato qualcosa di negativo su di me l’ho pensato anche di te e tu non lo meriti. Vorrei dirti soprattutto questo: hai chiuso il gas e non lo hai mai dimenticato aperto. Tutte quelle volte che non ti sei sentito abbastanza bello, intelligente, in effetti non lo eri; ma sai, non è che gli altri siano poi tanto meglio. Non che questo c’entri nulla con il gas, ma questa lettera/monologo l’ho scritto tutto da solo. Le sfide più importanti sono sempre con noi stessi.

Cominciamo piccolo Saverio, parliamo della tua vita. Crescendo avrai tanti momenti di felicità, ma anche alcuni densi di paura e ansia, e sai cosa ho imparato? Niente. Un amico un giorno mi ha detto: nessuno fa la fila per delle montagne russe piatte. Da allora non è più mio amico: io ci tenevo davvero, a vedere le montagne russe piatte. Sai cosa ho imparato? Che se una cosa ti fa paura è la cosa più giusta da fare. Tipo questa frase: non ha senso, mi fa paura scrivere sciocchezze; e allora l’ho scritta. Abbiamo tutti la scritta fragile, siamo scatole che contengono meraviglia e gli altri sono traslocatori che se ne fregano. Ma se il tuo pensiero va sempre ai figli, stai facendo la cosa giusta. Salvo non siano figli degli altri: in tal caso è un po’ inquietante. Un consiglio: celebra sempre i tuoi successi, non sminuirti mai di fronte a nessuno. Se non hai successi, inventali. Sii mitomane. “Se non mostri il tuo corpo sei una suora, se lo mostri troppo sei una troia”, recitava una scritta sul muro dei bagni nel mio liceo. Non so cosa c’entri con tutto il resto, ma sentivo il bisogno di una bella frase a effetto. Essere una donna non è un limite, dillo alle tue amiche. Di solito funziona. Altrimenti prova a farle ridere. Io ci sto provando, anche in questo momento. Senti come batte il mio cuore? Riconosci queste emozioni? Ti vorrei abbracciare piccolo Saverio, per dirti che alla fine andrà tutto bene e che sì, il gas l’hai chiuso.

 

E’ innegabile che i Festival di Amadeus abbiano alzato il livello delle canzoni in gara. Ma il bello è che ha ottenuto questo risultato clamoroso non investendo sulla qualità della musica o dei testi, ma assicurandosi che ciò che avvenisse sul palco al di fuori della gara canora fosse peggiore delle canzoni. I monologhi, che fossero seri o comici, anche quest’anno si sono confermati i momenti più deboli di tutte le interminabili serate del festival; quei momenti in cui ti puoi alzare per andare di là in bagno a fare pipì senza avere paura di perderti qualcosa – anzi, con l’augurio di tornare e di scoprire che intanto che svuotavi la vescica il monologo di turno è finito e tu fortunatamente sei riuscito a non sentirlo. Mi si dirà: provaci tu, non è un palco facile. 

Cosa avrei fatto se fossi dovuto salire sul palco dell’Ariston? Semplice, anche io come Benigni avrei fatto un monologo sull’articolo 21. Ma non della Costituzione, del codice della strada.

L’articolo 21 è stato scritto con un linguaggio così semplice e bello che sembra scritto da un bambino. L’articolo 21 dice così: “Senza preventiva autorizzazione o concessione della competente autorità, è vietato eseguire opere o depositi e aprire cantieri stradali, anche temporanei, sulle strade e loro pertinenze, nonché sulle relative fasce di rispetto e sulle aree di visibilità”.

Sembra incredibile dover mettere per iscritto una cosa tanto naturale, come l’aria che respiriamo. Ma durante il ventennio qui, in Italia, il Duce, il fascismo, potevano aprirti un cantiere sotto casa a qualunque ora del giorno o della notte, arrivavano queste squadracce di pronto intervento e ti bonificavano l’agro pontino anche senza permessi già dalle sette del mattino, facendo un rumore infernale, non si poteva dormire, facevano lavori stradali persino la domenica. E noi questo non dobbiamo dimenticarlo, perché ci sono paesi vicino al nostro dove aprono cantieri ovunque, oppure invadono altri paesi per fare lavori o depositi lì – tipo in Ucraina; e se provi a protestare ti condannano ai lavori forzati in quei cantieri, con gli umarell che ti guardano e ti criticano e ti danno consigli.

Il Festival è giunto al termine, e c’è ancora gente che ha voglia di dibattere e commentare il gesto di Blanco, che ha reagito a un problema tecnico sfasciando la composizione floreale sul palco dell’Ariston manco fosse allergico al polline. C’è chi lo giustifica dicendo che ha vent’anni (vero, ma appunto: non ne ha otto), chi lo condanna con una tale fermezza che se avesse trucidato qualcuno ci sarebbero stati più distinguo, maggior garantismo, qualche attenuante. Semplificando la vicenda al suo nucleo essenziale: c’è un cantante che ha preso a calci dei fiori. Il gesto è sicuramente sciocco, eccessivo rispetto alla causa, non professionale; ma non è poi così grave. Né lo esalterei come gesto punk o anticonvenzionale: è stato un semplice atto isterico/infantile. Il pubblico dell’Ariston che fischia, rumoreggia, grida buuu e mancava poco andasse a prendere le torce e le forche e con quelle accompagnasse Blanco alla statua di Mike dove avrebbe allestito una forca di fortuna è stato altrettanto esagerato e impulsivo. A suo modo è stato un momento di spettacolo, il che la dice lunga sul livello dello spettacolo. Del resto, cos’altro c’era? Fedez che attacca la politica e la Rai ma fa meno rumore di Blanco che attacca Interflora;  Angelo Duro che fa il comico alternativo – nel senso di alternativo alla comicità; forse una bestemmia sul palco, non si è sentita bene, allora è vero che ci sono problemi audio su quel palco. Ammetterete che è un po’ troppo poco per stare svegli tutte quelle ore. La presenza di Sergio Mattarella alla prima serata del Festival di Sanremo, prima volta all’Ariston di un presidente della Repubblica, giustifica una lettura istituzionale di quanto accaduto in questi giorni. Il Quirinale sembra indicare il modello sanremese come strada per le riforme; a cominciare dal sistema di voto. Che genera instabilità i primi quattro giorni, con un continuo sali-e-scendi lungo le posizioni in classifica; ma dopo il quinto giorno il risultato è chiaro e inequivocabile: c’è un vincitore, un ultimo posto, e al posto del premio di maggioranza c’è il premio della critica. Cosa succederebbe se applicassimo il Sanremellum anche alle elezioni nazionali? Vediamo una simulazione. 

Intanto, l’election day diventerebbe una election week – molto milanese come cosa. Cinque giorni di votazioni così organizzate: i primi due giorni vota la sala stampa, composta da direttori di giornali e testate giornalistiche, cronisti politici, commentatori accreditati, conduttori di talk-show. Con il loro voto si arriva dopo le prime 48 ore a un exit poll provvisorio: ancora tutto può succedere. Il terzo giorno il voto sarebbe affidato per il 50 per cento ai cittadini aventi diritto, e per l’altro 50 all’elettorato demoscopico: un elettorato campione, composto nei mesi precedenti da un organo di garanzia presieduto dall’opposizione. Una sorta di Italia in miniatura umana. Il quarto giorno la votazione sarà tripartita: il 34 per cento è affidato al suffragio universale, il 33 all’elettorato demoscopico, e il restante 33 alla sala stampa. Il quinto e ultimo giorno si sommano i voti, si ottengono cinque finalisti, e su questi rivotano tutti. Ovviamente con questo sistema conviene coalizzarsi dopo la classifica definitiva. 

Un’altra curiosità prevista dal Sanremellum è che i candidati alle elezioni non devono svelare il loro programma elettorale prima che si vada a votare: si potranno fare promesse elettorali solo durante i cinque giorni di votazioni (ogni candidato sempre la stessa, ripetuta di giorno in giorno). Praticamente si fa tutta la campagna elettorale in silenzio elettorale, e si fa propaganda solo a urne aperte. Tutto sommato, non male; specie per noi elettori. Vuol dire meno talk-show, sostituiti da una lunga, lunghissima kermesse elettorale; altro che maratona Mentana, di più. 

Ma non solo Sanremo in politica; anche la politica entra nei giochi sanremesi. Per effetto dello spoils system, infatti, spetta all’attuale maggioranza indicare il vincitore del Festival di quest’anno. Il candidato del centrodestra è sin dalla vigilia del Festival il cantante Ultimo, anche per sanare quella “vittoria mutilata” del 2019. “Vi ricordate quante storie fece quella volta per il secondo posto dietro a Mahmood? Dovesse perdere anche stavolta non lo teniamo più, questo riempie gli stadi, rischiamo uno strappo sociale insanabile, forse la guerra civile” dicono fonti vicine alla maggioranza. Ma anche in questo caso il centrodestra non è unito come sembra: mentre la Lega è compatta sul nome di Ultimo, dentro Fratelli d’Italia spiccano i distinguo. Rampelli voterebbe più volentieri i Cugini di Campagna; Donzelli non fa mistero del suo sostegno ai Modà. Calenda e Renzi lavorano su queste fratture e cercano di convincere esponenti di Forza Italia a sganciarsi e sostenere una vittoria più larga e istituzionale come quella di Mengoni. Ma anche l’opposizione non è compatta: il Movimento 5 stelle sostiene gli Articolo 31, mentre il Pd va in ordine sparso: Bonaccini appoggia Colapesce e Dimartino, Elly Schlein vota Rosa Chemical, Cuperlo sostiene Elodie. Questo lo scenario. Domenica, in base alla classifica definitiva, si capirà chi ha vinto e chi ha perso, chi ha tradito chi, quali nuove convergenze e assetti istituzionali all’ombra dell’Ariston.

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