Ricetta seriale

Classica e fresca, "La legge di Lidia Poët" ha tutti gli ingredienti dell'intrattenimento

"Se Dio ti voleva avvocato non ti faceva donna". Femminista, scanzonata, dolceamara. La storia della prima avvocata d'Italia è un prodotto godibile: narrativamente tradizionale, e originale nelle scelte registiche ed estetiche

Gaia Montanaro

Gli ingredienti cari al nostro presente seriale ci sono tutti ne “La legge di Lidia Poët”, serie Netflix prodotta insieme a Groenlandia e disponibile da oggi sulla piattaforma streaming. Una protagonista femminile coraggiosa e pioniera, una storia vera (in costume), intrighi, amori, omicidi e indagini non ortodosse. Siamo a Torino alla fine dell’Ottocento – 1883 per la precisione – e Lidia è ancora una giovane ragazza quando entra a far parte, prima donna in assoluto, dell’Ordine degli avvocati.

 

Osteggiata da più parti, pagata meno dei colleghi uomini, decisamente meno presa sul serio, la Poët dimostra sul campo le sue qualità professionali anche se queste non sempre paiono bastarle per mantenersi un lavoro. Comincia, suo malgrado, a collaborare nello studio di avvocati di suo fratello (inizialmente più che recalcitrante) per poi via via prendere confidenza con il mestiere e rivelando la sua determinazione. Per quanto riguarda il genere siamo a cavallo tra il legal drama classico (Lidia di fatto fa l’avvocatessa che indaga) e il relazionale in costume (ampi esempi, di stampo anglosassone).

 

Un caso per puntata da risolvere – si ipotizza – e qualche linea verticale che coinvolge in particolare la lotta “femminista” della Poët il rapporto tra Lidia e suo cognato Jacopo (Eduardo Scarpetta), un giornalista avvenente dal passato misterioso che passa informazioni alla giovane, aiutandola a districarsi tra i segreti e i non detti dell’alta società torinese. Narrativamente la serie ha un impianto molto classico mentre un tocco più peculiare si trova nell’estetica e nella regia (che si di vide tra Matteo Rovere e Letizia La Martire).

 

Protagonista assoluta, che regge bene il ruolo, è Matilda De Angelis, insieme a Eduardo Scarpetta e Dario Aita. La serie è scritta da Guido Iuculano e Davide Orsini insieme a Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo. È godibile e scorre leggera, intrattenendo con qualche attimo più riflessivo. Fa insomma quello che è plausibile si fosse prefissata. Quali sono i temi de “La legge di Lidia Poët”? La serie indaga, in modo abbastanza manifesto, temi legati all’affermazione delle donne e delle particolari libertà. Lidia è anticonformista, determinata a far valere i propri traguardi professionali pur non abdicando alla propria personalità, sola in un modo maschile che, per retaggi socioculturali, non vuole riconoscerle un ruolo.

 

Lotta per ciò di cui si sente defraudata senza che questo aspetto venga eccessivamente ideologizzato ma riuscendo a farlo emergere dalle scelte pratiche e concrete che la Poët deve affrontare.

 

Qual è la vera storia di Lidia Poët?

Poco conosciuta al grande pubblico (a cui questa serie con chiarezza si rivolge), la figura di Lidia Poët è stata un’antesignana non solo nel mondo dell’avvocatura ma più in generale ha precorso temi e battaglie sociali che hanno trovato nel Novecento un ulteriore proseguo. Nata nel 1855 a Perrero (nell’oggi Piemonte), la Poët si diploma come maestra per poi frequentare il liceo e laurearsi in legge. Non senza copiose polemiche al riguardo, Lidia viene accolta nell’Ordine degli avvocati salvo poi, poco tempo dopo, vedersi annullata l’iscrizione dalla Corte di Appello di Torino.

 

La sentenza è stata poi confermata dalla Corte di Cassazione poiché, come dice la motivazione giuridica, “la donna non può esercitare l’avvocatura”.

 

Qual è l’estetica di “La legge di Lidia Poët”?

Se dal punto di vista narrativo la serie appare solida ma con dei tratti abbastanza classici, c’è invece un elemento più innovativo nella messa in scena e nelle scelte estetiche di linguaggio. Aiuta una scenografia, naturale e non, che connota fortemente il racconto, opulenta e curata nei dettagli e in cui si possono apprezzare i villini borghesi del Piemonte, il teatro dell’Opera e ricchi saloni decorati con stucchi. Interessante la pasta visiva del racconto (svetta, nel pilota, la scena dell’obitorio circonfusa dai toni del giallo, molto efficaci) e alcune scelte registiche che danno dinamismo alla storia.

 

Qual è il tono de “La legge di Lidia Poët” in tre battute?

“Teme di essere battuto da una donna in aula?”.

“Non ho bisogno di un uomo che paghi al posto mio”.

“Se Dio ti voleva avvocato, non ti faceva donna”.