L'originalità darwinista di Maurizio Costanzo
Era l’arbitro onesto del talk in tv che detestava perbenismo e sessuofobia. “Prima di andare in scena mi disse solo due parole: totale libertà”. Un ricordo
Oggi, in campo accademico, definirsi “darwiniano” non significa tanto credere alla teoria dell’evoluzione. Oggi essere darwiniano comporta soprattutto dichiararsi ateo. Maurizio Costanzo è stato a suo modo uno dei più grandi darwinisti italiani. Ma anche se non credeva in Dio, nutriva grandi speranze nelle persone. E con l’autore de L’origine della specie, Costanzo non condivideva solo l’interesse per le tartarughe, che per anni ha collezionato con passione (nell’ultimo periodo del Maurizio Costanzo Show le tartarughe venivano addirittura proiettate sul palco del suo amato Teatro Parioli), ma anche la profonda convinzione che l’essere umano avesse il diritto di evolversi in santa pace.
Come Darwin, Maurizio Costanzo credeva nella divulgazione della conoscenza. Era convinto che nella società contemporanea il male si celasse soprattutto nella volontà di nascondere informazioni alla gente (scomode o rassicuranti che fossero): per lui esisteva un pubblico che andava esposto a fenomeni e realtà che non avrebbe avuto altro modo di conoscere se non attraverso la televisione. Detestava il perbenismo e la sessuofobia, e nel salotto del Maurizio Costanzo Show le sedie erano distribuite secondo un principio liberale e partecipativo: su quel palco, infatti, potevano accomodarsi un politico moralista e una transessuale anticlericale, e a entrambi Costanzo avrebbe lasciato la possibilità di esporsi, di dire la propria. Oggi, quella stessa geniale intuizione televisiva, quando viene messa in mano a giornalisti e uomini di spettacolo opportunisti e illiberali, innesca delle false equivalenze, perché mette sullo stesso piano uno che crede nelle scie chimiche e Rabindranath Tagore. Costanzo, invece, era un arbitro onesto: potevi dire quello che ti pareva, ma se facevi scattare il suo allarme anti-perbenista, lui prendeva il suo sgabello e si andava a sedere vicino a un ospite meno noioso. Con grande consapevolezza del mezzo televisivo, sapeva che insieme a quello sgabello si stava portando dietro anche il centro della conversazione. E da casa perfino lo spettatore più ottuso capiva che era ora di cambiare argomento. E anche di cambiare opinione.
In Italia, paese in cui il talk-show all’americana (cioè quello con un solo ospite) non ha mai funzionato, Costanzo è riuscito a portare avanti per decenni (e con enorme successo) un modello di talk che da noi si definisce “alla francese”: facendo sedere gli ospiti uno accanto all’altro, democratizzava l’informazione. Non perché i punti di vista si equivalessero, ma perché il conflitto spesso apriva un vaso di Pandora da cui uscivano nozioni inaudite e innovative per la televisione italiana.
Il mio rapporto personale con lui ha solo confermato quello che già immaginavo prima di conoscerlo. Non mi capacitavo che qualcuno vedesse in lui – un progressista che lavorava venti ore al giorno – un uomo di potere che godeva nel tarpare le ali ai suoi ospiti e, infatti, quando nei primi anni Zero andai al Maurizio Costanzo Show, lui si divertì come un matto a sentirmi parlare della mia adolescenza debosciata. A programma finito, però, mi assalì il dubbio che, se mai mi avesse fatto tornare al Parioli, mi avrebbe ammonito: “Costantino, guardi che qui non andiamo mica in onda in quarta serata sulla tv brasiliana! Si dia una controllata!”. E invece niente di tutto questo. Quando mi invitò per la seconda volta, Costanzo mi ricevette nel suo ufficio prima della registrazione. Il suo briefing fu molto conciso, passai molto più tempo seduto al trucco. Mi disse solo due parole: “Totale libertà” e mi fece cenno di uscire.
In quegli anni, ricevere una direttiva del genere in tv era non solo una cosa inusuale, ma del tutto unica. Tant’è che quando raccontai l’episodio ai miei amici milanesi che guardavano con diffidenza all’ambiente dei media romani, nessuno mi credette. E invece sono convinto che oggi, nonostante gli scontri ideologici che sono sotto gli occhi di tutti, nella tv romana si trovino ancora piccole bolle di libertà che a Milano, città ormai corporate fino al midollo, sono definitivamente scoppiate.
Della mia omosessualità, poi, non gliene fregava nulla. Del resto, anche per me era un argomento non sufficientemente torbido per parlarne in tv. Non essendo un personaggio di serie B, Costanzo non mi punzecchiò mai su quell’aspetto: lo divertiva molto di più il lato frivolo e paradossale della società cosmopolita che frequentavo. Fu il primo a dire di me: “Ormai ha preso talmente tante randellate che non è più snob”. Aveva mille modi sottili per prendermi in giro, ma il mio preferito era questo: quando a inizio trasmissione presentava gli ospiti, a me chiedeva sempre una cosa che in tv non si chiede mai, e che infatti non chiedeva a nessun altro degli invitati: “Ma lei quanti anni ha?”.
Maurizio Costanzo è stato il primo a portare nella tv commerciale generalista omosessuali dichiarati, persone che parlavano della propria sessualità in modo diretto, senza allegorie o giri di parole. E lo stesso vale per sex worker, pornostar, coppie di scambisti eccetera… E’ stato una figura importante, e sottovalutata, in tante battaglie etiche e politiche. Anche in questo sapeva essere efficace perché era un autore televisivo di grande intelligenza, basti pensare alla trovata del pianoforte: una manciata di note di accompagnamento era in grado non solo di stemperare un confronto acceso, ma anche di rendere rassicurante una confessione scabrosa, di umanizzare una persona che – agli occhi di uno spettatore bigotto – poteva sembrare l’anticristo.
Da autentico darwinista, era disposto a combattere per le sue convinzioni. E immagino che molte persone abbiano provato a ostacolarlo, a rendergli difficile la vita, come fece addirittura la mafia.
Sarà che per anni sono stato troppo indaffarato per accorgermi delle evoluzioni professionali di tanti colleghi del mondo dorato della tv italiana, ma per quanto mi sforzi non mi viene in mente nessuno che, nell’arco di un’irripetibile carriera televisiva durata mezzo secolo, abbia osato fare i salti nel vuoto che Maurizio Costanzo non ha mai smesso di fare.
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