Ricetta seriale

“La famiglia dei diamanti”, il racconto (confuso) di una comunità ebraica

Gaia Montanaro

La serie uscita su Netflix mescola la storia di una famiglia ultraortodossa con un thriller che ruota attorno ai problemi economici di uno dei suoi componenti. Due polarità non sempre gestite in modo ottimale

È un esperimento riuscito solo in parte quello di “La famiglia dei diamanti”, serie Netflix in otto episodi ambientata ad Anversa che ha al centro una famiglia di ebrei ultraortodossi – i Wolfson – impiegati nel commercio dei preziosi. La serie, recitata soprattutto in fiammingo e yiddish, ha inizio quando il figlio minore della famiglia, Yanki, si toglie la vita poiché sommerso dai debiti e inseguito dai creditori. Torna così a casa il figlio maggiore, Noah, che ha deciso di abbandonare la comunità chassidica anni prima e ora vive a Londra con il figlio Tommy, da poco orfano di madre. Noah si è lasciato alle spalle non solo la sua famiglia di origine ma un sistema di valori e uno stile di vita ed ora, tornato ad Anversa per il funerale del fratello (per cui emergono fin da subito problemi sulla sepoltura poiché, essendosi suicidato, non può essere seppellito nella tomba di famiglia), deve riprendere in mano tutto il suo passato e risolvere i problemi economici che attanagliano la sua famiglia.

 

Ci sono quindi due direttrici narrative principali (e, di fatto, due anime non sempre così amalgamate) che costituiscono l’ossatura di “La famiglia dei diamanti”: da un lato, il racconto di una comunità ebrea ultraortodossa, con le sue regole, la sua sacralità e il suo approccio culturale, dall’altra un’anima molto più action – thriller che riguarda i problemi economici che Noah deve risolvere ad Anversa e quelli “criminali” in cui è implicata la suocera dell’uomo, che a Londra gestisce una serie di traffici illeciti. Queste due polarità del racconto – di per sé delle buone intuizioni e molto identitarie – sono gestite in modo non sempre ottimale. C’è infatti, e la serie lo mette in luce fin dal pilota, una vistosa discrasia di tono tra il racconto delle vicende “ebraiche” e la timbrica più action. Se dal punto di vista del linguaggio, le vicende della comunità ultraortodossa sono raccontate con uno stile dilatato, quasi contemplativo e legato alla cura dei dettagli e alla profondità, decisamente più adrenalinico e “generalista” nel gusto appare tutta la narrazione legata a Noah e alla risoluzione dei problemi di debiti che coinvolgono la sua famiglia.

 

Queste due anime del racconto, interessanti e specifiche poiché ben ambientate in un contesto come quello della città di Anversa, funzionano poco sullo schermo poiché sembra mancare un punto di equilibrio nell’amalgama del racconto. Rimane quindi un po’ di amaro in bocca per una serie che aveva tutte le premesse per essere un racconto originale ed identitario, ben giocato e con tutti gli ingredienti giusti per distinguersi. La serie è stata scritta da Rotem Shamir e Yuval Yefet e prodotta da Keshet International e dalla belga De Mensen.

 

Quali sono i temi della serie?

Principalmente la serie racconta del ritorno a casa - in una sorta di processo “redentivo” – del protagonista Noah, del suo dover fare i conti con un passato lasciato in sospeso, con una comunità e delle radici culturali che non possono essere estirpate. Se su un livello più fattuale il suo obiettivo è quello di salvare la sua famiglia dai debiti e della criminalità che osteggia l’azienda, a livello più profondo Noah deve riconciliarsi con quello che è stato, con le proprie origini e con un mondo che – indipendentemente da quel che desidera – fa parte della sua essenza come individuo.

 

Qual è l’estetica di “La famiglia dei diamanti”?

Dal punto di vista della messa in scena, la serie opta per uno stile freddo e tipicamente nordico. Rispetta quindi gli stilemi di genere nella serialità nord Europea, con toni lividi e una palette di grigi e azzurri. Questa estetica molto severa e castigata ben si addice anche al racconto di tutto il mondo ebreo chassidico, di grande essenzialità e rappresentato nei suoi rituali quotidiani sempre ricchi di fascino e di personalità (significativa a questo proposito la scena iniziale del primo episodio in cui Yanki si sveglia nel suo letto e compie i consueti rituali mattutini prima di alzarsi).

 

Qual è il tono di “La famiglia dei diamanti”, in due battute?

“Per ciò che è successo a Yanki non c’è redenzione, per nessuno di noi”.

“La famiglia è una cosa potente”.

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