Sigfrido Ranucci, conduttore di Report (Ansa)

a che serve rai cinema?

Da Gelli a Meloni, tutto si tiene. “Report” è meglio di Netflix

Salvatore Merlo

E’ la trasmissione d’intrattenimento migliore della televisione italiana. Anzi mondiale. Lunedì sera in poco più di un’ora è andato in onda il romanzo delle stragi mafiose. Altro che Sorrentino

Da Licio Gelli a Giorgia Meloni, il romanzo delle stragi. Gli inglesi hanno avuto Ian Fleming e James Bond, John le Carré e Graham Greene, noi abbiamo “Report” e Sigfrido Ranucci su Rai 3, la fantastica macchina visiva, la fiabesca, inesauribile dispensatrice di immagini e parole: che la nuova Rai non ce li tocchi. Guai a lei. E lo diciamo seriamente. “Report” non si tocca!  Lunedì sera per oltre un ora, davanti al teleschermo, sul divano, anziché guardare “The diplomat” su Netflix, siamo rimasti incantati davanti a un’opera che dovrebbe essere recensita da Mariarosa Mancuso o Paolo Mereghetti: collusioni tra mafia, politica, carabinieri, terrorismo, massoneria, servizi segreti italiani e americani fluttuavano come gas (o palline da ping pong) sulle pareti, le poltroncine, il tappeto e il tavolino da caffè del  soggiorno di casa.

 

Incollati al teleschermo, fra musiche felliniane e colpi di violoncello, roba che sarebbe piaciuta a Morricone e Trovajoli, abbiamo finalmente capito che la bomba in via dei Georgofili, a Firenze, negli anni Novanta, non l’hanno mica messa i mafiosi, ma qualcun altro: Berlusconi, i servizi e gli americani. Di chi era quell’esplosivo al plastico “militare” che venne aggiunto in un secondo momento al tritolo dei mafiosi? A chi conveniva? E anche in via Palestro a Milano, altro che mafiosi, i mafiosi erano uno strumento. E’ stata la misteriosa donna dai capelli scuri detta “Cipollina” a posteggiare l’automobile bomba. La misteriosa “Cipollina”. Ecco appunto. Lei. Chi era “Cipollina”? E che ruolo hanno avuto, ancora una volta, gli amici americani che volevano destabilizzare l’Italia? Guardate gli identikit di “Cipollina”, sembra Caterina Caselli coi capelli neri. E che ci faceva Berlusconi in polo scura sul lago d’Orta negli anni Novanta con il generale del Sisde Delfino, anche lui vestito di scuro, e un ragazzo giovane che forse era il boss Graviano (ma era vestito di chiaro)? Cosa tramavano questi tre mentre venivano fotografati in quella “polaroid sbiadita” che il mafioso Baiardo ha fatto intravedere a Massimo Giletti attraverso la tasca interna della sua giacca? Cosa preparavano? I botti, preparavano. Certo. I botti, sì. Bum, bum e bum.  

 

Tutto si tiene, da Licio Gelli a Marcello Dell’Utri, dall’arresto misterioso di Riina a quello non meno inspiegabile di Matteo Messina Denaro. Oscure trame sono state ordite alle nostre spalle, e noi, ignari, non lo sapevamo nemmeno. Vanghe misteriose hanno senza dubbio scavato la terra sotto i piedi della nostra democrazia negli ultimi trent’anni, perché esiste un “amalgama di poteri difficilmente penetrabili” e di “figure che s’incaricano di favorire i passaggi storici dove la politica non riesce”. Ed ecco tutto il racconto, finalmente, bellissimo e stordente, lunedì sera su “Report”. Grazie Ranucci, erede di Francesco Rosi. Altro che la giraffa di Sorrentino! Questo sì che è un intreccio narrativo. Ecco il giornalista con la barba lunga, la coppola e gli occhiali scuri. Eccolo mentre intervista un anonimo “funzionario di polizia giudiziaria”. Sono seduti all’aperto, all’ombra di un cavalcavia, sui piloni di cemento. E il poliziotto anonimo dice che il medico Tamburello, l’amico di Messina Denaro, non solo era massone ma era pure un confidente dei servizi segreti. Urca. E guarda caso i servizi segreti poco più di due anni fa  fecero in modo di tardare l’arresto di Messina Denaro “perché se l’avessero preso  il governo Draghi poi non sarebbe caduto”. Bisognava aspettare. Ecco. Tutto si tiene. E’ chiarissimo. Tutto torna. La mafia ha fatto un regalo al governo di Giorgia Meloni con l’arresto del boss.

La mafia (e i servizi) hanno voluto che il vecchio Messina Denaro fosse preso proprio in quel momento, e non prima. Solo che Meloni, in cambio del regalo, proprio come voleva Riina da Berlusconi (tutto cambia perché nulla cambi), avrebbe dovuto ammorbidire il 41-bis e cancellare l’ergastolo ostativo. Ma Meloni non l’ha fatto (non ancora, eh) sicché “ci risulta che la Mafia sia irritata”. E se risulta a “Report” noi ci crediamo. Come non potremmo. E anche se non ci credessimo, alla fine non ha nessuna importanza perché è tutto così bello, così ben raccontato,  e così suggestivo che siamo arrivati a una conclusione: con queste trasmissioni d’inchiesta, a che ci serve Rai Cinema?

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.