l'editoriale dell'elefantino
Con Monica Maggioni al Tg1 si è visto solo buon giornalismo
Né TgDraghi, né TgMeloni. Il telegiornale di riferimento degli italiani ha mostrato l’attaccamento professionale al lavoro ben fatto, senza protagonismi. Merito di una ciurma solida, prevalentemente femminile, che ha trovato un un timoniere donna capace di valorizzarla
Il Tg1 è una strana bestia. Parlarne bene non viene naturale. Ha sempre affettato una certa ufficiosità politica, per così dire di regime, patinata di quirinalismo e papismo con l’aureola, radunando convenzionalismi e correttismi vari, effetti che lo depauperavano parecchio di senso giornalistico. Il famoso pastone, quando era prolisso e universale, rompeva parecchio le balle. I servizi dal mondo e dall’Europa sapevano di supervelina farnesinesca. Il comprensibile carattere filogovernativo, ci dovrà pur essere qualcuno che offre anche e in bella vista la versione dell’esecutivo, si associava al banalismo sociale e culturale, una Sanremo di successo e pailettes che era sempre e solo Sanremo. Con qualche eccezione, si ricorreva spesso alla concorrenza di Canale 5 e La7, per paura tra l’altro di morire di pizzichi e di noia.
Tornata infausta la guerra in Europa, Monica Maggioni direttore, afferrandosi a non so quale ma buona formazione e a un carattere notoriamente volitivo, ha radicalmente trasformato lo strumento e il quadro. Per oltre un anno scaletta e conduzione femminili hanno prevalso nettamente sul giornalismo abbottonato, si è sentita un’aria fresca di timbro internazionale, il tono era quasi sempre azzeccato, il linguaggio consono, le espressioni dei volti davano ritmo alla secchezza e al coraggio personale di una schiera di inviate e inviati che sono passati con tratto elegante dai bunker negli alberghi della capitale, quando tutto sembrava compromesso e si aspettava la fuga di Zelensky e l’arrivo dei panzer neosovietici, alla guerra di territorio e di trincea, al racconto del mattatoio e dell’esodo e dell’eroismo cosacco difensivo degli ucraini.
Assediato dalla carambola senza senso di molti talk-show e di presenzialismi belluini, il telegiornale di riferimento degli italiani non ha assunto posture militanti, non ha suonato la fanfara, si è limitato a far parlare un giornalismo delle cose che delle cose dava le lacrime, risparmiandoci le sue, come suggeriva Francesco de Sanctis alla letteratura sentimentale della sua epoca. Potevi trovare nelle corrispondenze dal fronte, nelle analisi, anche nelle grida di dispiacere e di sgomento, qualcosa di vicino a Bbc World e a Bfmtv, le all news inglesi e francesi. Colpiva sopra tutto la brevitas, la secchezza della comunicazione, e colpiva l’impegno produttivo inesausto, la volontà di dire e far sapere nel segno composto ma non neutrale di un vero servizio pubblico.
Non era TgDraghi e non è stato TgMeloni, era un telegiornale come raramente se ne sono visti, in cui esplodeva quella cosa inafferrabile che è l’attaccamento professionale al lavoro ben fatto, senza protagonismi e sahariane o cappelli di pelliccia vistosi, senza eccessi di vanità personale, con un tratto anche casual che assimilava inviati e inviate in una specie di rispettabile e interessante coro informativo.
Maggioni ha la sua responsabilità, ovvio, in questa performance di primo livello, ma è chiaro che lo sforzo, lo slancio collettivo hanno fatto premio su tutto, e dunque è anche chiaro che le energie, le forze culturali per questo scoop inaudito di ogni giorno c’erano, bisognava soltanto che una ciurma solida, prevalentemente femminile, trovasse un timoniere donna, che destino, capace di valorizzarla. E l’ha trovato.
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