Ai margini di un'interrogazione

Il surreale "teorema" di Report. Scene da un carteggio tra Gasparri e la Rai

Marianna Rizzini

In una puntata di maggio, nel calderone di Ranucci era finito un po' di tutto: mafia, Cav., americani e massoni. "È giornalismo d’inchiesta? Mi pare più Disneyland”, dice il senatore azzurro. Che fa un'interrogazione. La risposta extraterrestre di Viale Mazzini

C’entra tutto, e a suo modo tutto torna, ma anche no. C’è la puntata di “Report”, andata in onda in maggio, in cui la verità su mandanti ed esecutori “sui fatti di mafia e sulle stragi che hanno insanguinato il nostro paese”, così si leggeva sul sito della nota trasmissione di Sigfrido Ranucci su Rai3, veniva cercata anche scandagliando lateralmente: “La mafia non era sola nella pianificazione della strategia stragista”, era il punto di partenza. E c’entravano tutti: americani, politica, massoneria, servizi segreti, poteri grigi e non grigi, militari, fiancheggiatori e fiancheggiatrici, e i nomi rimbalzavano (si nominava Silvio Berlusconi come Marcello Dell’Utri, per non dire di Salvatore Baiardo, mafioso condannato per favoreggiamento dei boss Graviano, l’uomo che a un certo punto ha mostrato dal taschino una polaroid con alcuni presunti volti noti al conduttore tv Massimo Giletti).

 

Ed era lì che la storia si complicava al punto da lambire la trasmissione del medesimo e anche TikTok, il social frequentato da Baiardo, e la Procura di Firenze, con il pm Luca Turco e il procuratore aggiunto Luca Tescaroli che ascoltavano per quattro ore come testimone Urbano Cairo, l’editore de La7 e del Corriere della Sera, sulla chiusura di “Non è l’Arena”, programma di Giletti, e sul suddetto caso Giletti-Baiardo, storia nella storia.

 

Non basta. Perché alla storia e alla storia nella storia si è aggiunta l’interrogazione del senatore di FI e vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, con tanto di risposta Rai, scritta da un funzionario Rai che, dice Gasparri, “fa soltanto il suo lavoro”, mentre il problema “della Rai è che è prigioniera dei suoi proprietari, tra cui noti autori e conduttori”.

 

E cita un articolo di questo giornale, Gasparri, in cui quella puntata di “Report” viene raccontata non come pezzo di giornalismo d’inchiesta ma come grande pezzo di tv d’intrattenimento (“…e il poliziotto anonimo dice che il medico Tamburello, l’amico di Messina Denaro, non solo era massone ma era pure un confidente dei servizi segreti. Urca. E guarda caso i servizi segreti poco più di due anni fa  fecero in modo di tardare l’arresto di Messina Denaro ‘perché se l’avessero preso il governo Draghi poi non sarebbe caduto’. Bisognava aspettare. Ecco. Tutto si tiene. E’ chiarissimo. Tutto torna. La mafia ha fatto un regalo al governo di Giorgia Meloni con l’arresto del boss”).

 

Poi Gasparri chiede alla Rai. Vorrebbe sapere “se l’azienda non intenda intervenire per porre al fine al fatto che trasmissioni di approfondimento, pur trattando temi di assoluta serietà e rilevanti nella storia d’Italia, lo facciano con approssimazione, inventando assurdi teoremi che li rendono ridicoli al punto da essere messi alla berlina” dalla stampa. E se con Sigfrido Ranucci il senatore Gasparri non soltanto parla, ma si fa anche ritrarre sorridente al ricevimento del 1 giugno nei giardini del Quirinale, la Rai risponde “in modo sostanzialmente elusivo e inutile” a Gasparri, dice Gasparri, ricordando, a proposito di Baiardo, “la presenza di un’intervista rubata e poi il video su Tik Tok a compensazione. E che è giornalismo d’inchiesta, questo? Mi pare più qualcosa alla Disneyland, con Baiardo che prende in giro tutta Italia”.

  

Intanto, nelle righe Rai inviate al senatore, le frasi assumono toni in qualche modo extraterrestri: “…il programma si basa su un modello produttivo specifico: un gruppo di videogiornalisti produce autonomamente le inchieste, su temi diversi, da inchieste di taglio economico a ricostruzioni di complessi intrighi di malaffare, anche internazionali, con una consolidata attenzione alla qualità delle immagini, affidata a un team di videomaker che utilizzano tecniche e mezzi di ripresa di nuova generazione…”. Che c’entri o meno, tutto ciò, con Messina Denaro e il teorema che passa per Licio Gelli, gli americani, i servizi e persino i mesi della caduta di Draghi, non è dato sapere. “Mi pare più lo stile di Roberto Saviano che di Indro Montanelli. Giornalismo d’inchiesta? Mah”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.