effetto discovery
Con i nuovi freak dell'opinionismo su Gaza, a Fazio è bastato fare i compiti
“Che tempo che fa” alla prima fa il botto con punte del 13 per cento di share. E’ bastato invitare Liliana Segre e David Grossman, poi un pacato Michele Serra. Il pubblico televisivo di sinistra si riversa sui network privati mentre la Rai procede verso il baratro
Fazio come quelle fidanzate mollate perché insopportabili, poi però rincontrate poco dopo, più belle di prima e con accanto uno molto più figo di noi che ci chiedono, “beh insomma come va? Come stai?”. E’ l’effetto Discovery sulla Rai. Il day after del nuovo ma sempre uguale “Che tempo che fa” che alla prima fa il botto: punte di 13 per cento di share, andando peraltro Fazio in “simulcast”, cioè a reti unificate, come Mattarella, ma sui canali Discovery (e se in Rai continua così si può in effetti anche immaginare un discorso di fine anno sul Nove). Numeri mai visti per la rete del gruppo Warner Bros. Scommessa vinta. Vendetta consumata. Era prevedibile, dirà subito qualcuno. No. In televisione, quando si cambia, di prevedibile c’è ben poco.
Traghettare il pubblico da una rete all’altra non è una cosa scontata. A Fazio riesce perché, come Maria De Filippi, è un brand. Conduttore e format si sono costruiti nel tempo un’identità più forte di quella della rete che li trasmette. Quando si spostano si portano dietro il loro pubblico (anche se “Uomini e donne” su Amazon Prime potrebbe non funzionare, mentre il target di Fazio, middlebrow, raffinato, feltrinellizzato, è più disposto a cambiare abitudini e forse persino a abbonarsi). Va detto però che ieri era anche facile. E non solo perché c’era curiosità per la prima. Venendo al culmine di una settimana straziante, col rumore di fondo di social e talk-show e nuovi freak dell’opinionismo a braccio su Gaza a Fazio è bastato fare i compiti. E’ bastato invitare Liliana Segre e David Grossman, poi un pacato Michele Serra che dice che la guerra è brutta e tira fuori il peggio di noi, e il gioco è fatto. Tutto distante anni luce rispetto alla caciara inguardabile e vergognosa di questa settimana (stiamo generalizzando, ma avete capito). E poi la strizzata d’occhio alla Cnn, con cui Fazio potrà ora anche giustamente tirarsela, anche perché la Cnn a Discovery ce l’ha in casa.
Ma la cosa interessante è soprattutto la “transumanza” (cit.) del pubblico televisivo di sinistra, che ora si riversa sui network privati: nella Mediaset di Merlino e Berlinguer con meno trash, a Sky, e soprattutto sul Nove di Discovery, la nuova Rai tre di Fazio e Crozza. Una mutazione culturale decisiva. Ci voleva naturalmente la destra in Rai per far scoprire allo spettatore di sinistra la bellezza delle multinazionali.
La libertà di espressione di Fazio è comunque salva. Non è mai stata messa in dubbio. La libertà di espressione di cui blateravano in molti quest’estate non c’entra proprio nulla. C’entra il mercato televisivo, c’entra la competizione tra reti, c’entra anche parecchio l’economia rovesciata della Rai: indebolire sé stessa, rafforzare la concorrenza. Da sempre uno dei grandi cavalli di battaglia di Viale Mazzini, non solo dell’era Meloni. Il contratto a Fazio, per dire, non l’ha rinnovato Carlo Fuortes, uomo del Pd. Tanto per ricordare che la Rai è governata da altre leggi, leggi che a volte sfuggono all’umana comprensione, comunque non riconducibili a un banale destra-sinistra, libertà-bavaglio. La Rai di Pino Insegno e Nunzia Di Girolamo che alla prima ci regala un tête-à-tête con su marito si avvita intanto su sé stessa, e persino “Report” risente del buco lasciato da Fazio. A discolpa di Pino Insegno, che non è un brand e non si portava dietro il suo pubblico, mancando peraltro da molti anni dalla tv, va anche detto che forse anche Fiorello farebbe fatica a fare ascolti col “Mercante in fiera”.
Resta il fatto che in Rai sta andando tutto a rotoli, e in modo talmente plateale che deve esserci forse un grande disegno occulto: se non puoi riformarla, affossala, svuotala dall’interno, sbagliale tutte, e conducila verso il baratro. Con la scusa della contro-egemonia culturale intanto tiriamo giù tutto, poi si vedrà.