Strategie televisive
Il modello spagnolo, ovvero come "La casa di carta" ha cambiato Netflix
Alex Pina, lo showrunner della celeberrima serie spagnola, in un'intervista permette di delineare quella che è la strategia adottata dalla piattaforma sul mercato televisivo internazionale. Ed ecco che Hollywood inizia ad avere un po' di concorrenza
"Il pubblico americano finora ha amato le storie raccontate dalla nonna. Poi è arrivato lo zio, e ha conquistato l’attenzione degli spettatori raccontando storie completamente diverse". Álex Pina, showrunner di “La casa di carta” – serie nata per la tv generalista spagnola e diventata via Netflix un successo globale – si rallegra perché ormai non c’è bisogno di viaggiare per raggiungere un pubblico internazionale. Variando la dieta degli spettatori: storie di rapina ne avevamo viste tante, mai a presa rapida come questa – grazie al risvolto barricadiero “rubare alla zecca non è reato”. Ora che su Netflix, con strepitoso successo, è arrivato anche “Berlin” – prequel ambientato a Parigi (Berlin è il nome del personaggio): nel caveau di una casa d’aste sono custoditi gioielli per 44 milioni di euro – in un’intervista su Vulture Álex Pina sprizza soddisfazione da ogni parola. E offre l’occasione per delineare “il modello spagnolo”, cardine della strategia internazionale Netflix.
Primo: ridare agli spagnoli quel che appartiene agli spagnoli. Il primo grande successo mondiale non made in Usa di Netflix non è stato “Squid Game” di Hwang Dong-hyuk. Bensì “La casa di carta”, titolo internazionale “Money Heist”. I coreani, tra l’altro, stanno facendo del colpo alla zecca nazionale un loro remake – Álex Pina è perplesso, dice che ormai l’hanno già visto tutti.
Con una certa fierezza, aggiunge che finalmente gli Usa hanno un po’ di concorrenza, in materia di storie: finora non era mai successo. Vince chi racconta le storie più belle. Netflix da parte sua ha investito parecchio nella produzione locale, parliamo di serie e del film “La società della neve”, diretto da Juan Antonio Bayona e candidato all’Oscar come miglior film straniero. Finora il regista aveva girato perlopiù horror come “The Orphanage”: quando racconta i sopravvissuti delle Ande trova una perfetta misura tra il dolore, la speranza, i tentativi di sopravvivere, l’amicizia.
Il centro di produzione Tres Cantos, poco fuori Madrid, dimostra l’impegno verso i paesi di lingua spagnola – gli spettatori, almeno all’inizio, sono attratti da personaggi in cui possono identificarsi (e va coinvolto il vastissimo pubblico delle telenovelas). Negli studi c’è un “palcoscenico virtuale”, per girare le scene che in esterni risulterebbero molto più costose. “Solo i migliori sopravviveranno”, insiste Álex Pina, e ovviamente si mette in prima fila. E chi non lo farebbe, con appuntata al petto la medaglia “serie non parlata in inglese più vista su Netflix”? Quando la piattaforma non aveva ancora cominciato a diversificare (o fare remake locali di successi stranieri: la seconda stagione di “Call my Agent – Italia” arriverà a marzo).
“La casa di carta” era sbarcata su Netflix senza un euro speso in pubblicità – parliamo della prima stagione. Il successo fu tutto merito del passaparola, e di personaggi a cui era impossibile resistere. Il Professore, per esempio: mette insieme “una banda di gente che non ha nulla da perdere”, e civetta con la poliziotta incaricata del caso – anche queste assurdità facevano parte del fascino globale della serie.
Il modello spagnolo di Netflix prevede investimenti su prodotti di alta qualità. Se andrà (relativamente) male, serviranno per conquistare mercati locali. Se andrà bene o benissimo, diventeranno successi internazionali. “Inattesi e inspiegabili” come “La casa di carta”, magari. Dimostrando che ci sono idee buone anche fuori Hollywood. L’universo delle storie – parola di Álex Pina – sarà più democratico. E speriamo meno sanguisuga, quando si tratta di sfruttare per tante stagioni una serie che funziona.