La recensione
Curiosità e interesse non bastano. Arriva "Dostoesvkij" dei fratelli D'Innocenzo
La serie è l'ultimo prodotto creato dei “gemelli prodigio” Fabio e Damiano D'Innocenzo, in anteprima alla Berlinale, prossimamente al cinema. Gli episodi sono tanti, soprattutto se nei primi due non succede quasi niente
Certi ritagli – o screenshot – bisognerebbe conservarli, servono come pezze d’appoggio. Trama: il serial killer lascia sui cadaveri lunghi messaggi scritti a stampatello. I poliziotti che lo cercano lo hanno soprannominato Dostoesvkij. Fin qui tutto bene. Poi il cronista si lancia in una spiegazione, senza rete: “Lo chiamano così per le lettere piene di dettagli macabri che lascia sui cadaveri” – come se lo scrittore di Delitto e castigo indugiasse su squartamenti sanguinari. I poliziotti, più svegli e acculturati – così risultano dalla sceneggiatura – hanno riconosciuto nei messaggi il nichilismo, “la vita come malattia mortale”, il pessimismo che paragona l’esistenza a un delitto imperdonabile.
Tutte cose brutte che risuonano nella mente del poliziotto Enzo Vitello: Filippo Timi che avanza in desolati paesaggi, tanto desolati che neanche si potrebbero chiamare tali. Solo baracche, stamberghe e strade che dal nulla vanno nel nulla. Cammina come se portasse sulle spalle il dolore del mondo. Ha una figlia da cui si è allontanato. Una quantità di pastiglie da mandare giù, quindi facilmente esagera. Parla poco, all’occasione è irascibile e violento.
“Dostoesvkij” è la serie dei “gemelli prodigio” Fabio e Damiano D’Innocenzo. In anteprima alla Berlinale. Prossimamente al cinema, in due atti perché dura cinque ore. Poi andrà su Sky che l’ha prodotta. con un certo sprezzo del pericolo. Per quanto i D’Innocenzo abbiano i loro fan sfegatati – che li seguono e li applaudono da “La terra dell’abbastanza” a “Favolacce”, fino al francamente incomprensibile “America Latina” – sei episodi sono tanti. Soprattutto se nei primi due non succede quasi niente.
I fratelli D’Innocenzo rivendicano la loro qualità di Autori, che per contratto devono “esprimersi”, senza essere tenuti a dar qualcosa in cambio allo spettatore. Come fanno, per esempio, i sei episodi – più o meno di pari lunghezza – della quarta stagione di “True Detective” con Jodie Foster (scritti, diretti e prodotti dalla messicana Issa López). I due primi episodi di “Dostoesvkij” avanzano nello squallore più totale (alla proiezione per i giornalisti qualcuno diceva “voglio fare l’addetto alle location per i film dei fratelli d’Innocenzo”: dal tono non era chiaro se fosse un commento di sottile e singolare ferocia, o andava inteso come serio progetto lavorativo).
I gemelli registi rivendicano anche nei loro volti “slavati e con la barba” (da un’intervista uscita sulla Stampa) una somiglianza con il mondo di Dostoesvkij lo scrittore. “Il thriller corre veloce tra l’America e il Lazio”, dice invece il titolo su Repubblica: stupendo perché l’America non c’è, e meno che mai la velocità. Entrambe le cose per precisa scelta degli Autori, che hanno protratto il più possibile – dieci minuti ancora, e sarebbe stato sequestro di persona – il momento in cui entra in scena la figlia del poliziotto: tossicomane, infuriata per l’abbandono, alla ricerca di denaro (solo così risponde ai messaggi). Complimenti al reparto costumi che le ha messo addosso il giubbetto scolorito e sporco, su colori un tempo fluorescenti.
L’arrivo della figlia (Carlotta Gamba) smuove un po’ la sceneggiatura, e lo spettatore si incuriosisce. Funziona così, spiace per i fratelli D’Innocenzo che a 35 anni vogliono reinventare la narrazione seriale: il nostro rifugio quando tra un episodio e l’altro passava una settimana, e gli sceneggiatori dovevano fornire una buona ragione per proseguire. Puntualmente, se succede qualcosa lo spettatore prende interesse. Ai flashback, che andrebbero usati con maggiore parsimonia, e all’inseguimento del serial killer.
Recensire Upas