Storia infinita
Il ritorno di Gray's Anatomy, che dopo vent'anni dice "Siamo solo all'inizio"
Da oggi è disponibile su Disney+ la nuova stagione dell'interminabile racconto di uno degli ospedali più famosi della serialità televisiva. Una serie non dura venti stagioni se non si conosce a fondo il mestiere e se non si sa cambiare senza mai tradire
Siamo solo all’inizio. Questo il titolo italiano – accidentalmente autoironico – del primo episodio della ventesima stagione (si, esatto, ventesima) di Gray’s Anatomy, dal 25 aprile disponibile su Disney+. Comme d’habitude, anche questo nuovo capitolo dell’ospedale più amato (e oggetto di calamità) di Seattle si apre con la voice over di Meredith, pilastro – sebbene nelle ultime stagioni sempre più intermittente – della serie che introduce il tema dell’episodio. Scaldacuore in patria e fil rouge altrove, la voce di Meredith ci ha accompagnato per (è il caso di dirlo) quasi un ventennio e con lei abbiamo vissuto le metamorfosi endogene di una serie ed esogene di un genere, il medical drama, che ha attraversato declinazioni alterne.
Il cuore della serie, o meglio il tono, stava già tutto nella sigla del primo episodio andato in onda e che mostrava senza indugi il marchio di fabbrica di quella che sarebbe diventata ShondaLand. Musica in sottrazione, una coppia nascosta sotto il lenzuolo di una barella da cui emergevano coppie di piedi struscianti l’uno sull’altro e un iconico piegaciglia di Shu Uemura, per non farsi mancare niente. Ergo: relazioni a non finire punteggiate da casi medici di diverso livello di gravità, di bordone. Elemento in aggiunta, e connotante, della serie: emotività, a pacchi. Questa la ricetta base, poi migliaia di variazioni. Come i buoni cuochi sanno fare. Una serie non dura venti stagioni se non si conosce a fondo il mestiere e non si sa cambiare quel poco che basta per sorprendere (ogni tanto) senza mai tradire. Come in ogni lunghissima serialità che si rispetti, sono essenziali stuoli di consulenti tecnici che diano linfa con spunti, writing room solide e nutrite che mettano a terra i casi di puntata (ndr: i malati di turno) e chi conosca a fondo la serie, i personaggi e il loro mondo per darne un tocco riconoscibile. Serve anche chi tenga il filo di quanto accaduto prima (e qui la cosa si fa ardua, visto lo storico), per non ripetere (troppo) i movimenti narrativi e per non tradire l’essenza dei personaggi e il rispettivo percorso interiore.
Gli eroi di Gray’s Anatomy ne hanno passate di ogni, a partire da Meredith. Sopravvissuta a disastri aerei, a bombe tenute in mano (e precedentemente recuperate dal ventre di un paziente), incidenti gravi, calamità naturali, figli sparsi, sorelle, sorellastre, padri naturali (alcolizzati) e putativi (con alterne fortune). Il dottor Shepherd pure lui non ne parliamo: forse calamità meno gravi nel percorso (ma molte beghe di corna) per arrivare a una fine beffarda. Come insegna la costruzione seriale, anche in Gray’s Anatomy c’è la contrapposizione tra due mondi: gli strutturati ovvero i medici esperti e gli specializzandi. Che si mischiano continuamente tra loro. Non si tiene più il filo di chi è stato con chi, miscugli, ripensamenti, matrimoni che deflagrano, gente che scappa all’altare – letteralmente all’altare con già tutti gli invitati schierati – con lo strutturato di turno. Gente senza arti, ex reduci di guerra, figli adottivi come se piovesse, copiosi parenti illegittimi, dottori di ogni etnia e orientamento sessuale, pazienti dalle patologie più rare e stravaganti (non esenti episodi di gente con oggettistica incastrata nei più insospettabili interstizi). Come tutte le grandi serie che si rispettino, Gray’s Anatomy ha dato i natali ad attori che hanno poi avuto vita propria fuori dal Gray’s Slone. Capostipite della fuga centripeta dall’ospedale seriale per planare ai successi hollywoodiani fu George Clooney, indimenticato dottor Ross in ER Medici in prima linea. Qui il cavallo di razza sembra(va) invece essere Sandra Ho che è rimasta nell’ambito seriale ma un paio di cose buone le ha fatte. Il medical drama infonde insomma la propria dose di fortuna.
Genere apprezzatissimo oltre oceano, nelle sue diverse declinazioni: per citare solo alcuni casi si va dai medici in trincea di ER alle idiosincrasie del dottore/detective misantropo House passando appunto per le versioni più soppish come Gray’s Anatomy. Conforta, il genere medical: in mezzo al caos e alla malattia c’è chi resiste, chi combatte strenuamente per la vita dei propri pazienti (per senso del dovere, altruismo o anche solo per dimostrare di essere il migliore), chi incontra l’amore della sua vita o semplicemente qualche estemporanea opportunità ginnica. Guardare Gray’s Anatomy è un balsamo, un antistress, un modo per depensarsi ritrovando volti e situazioni famigliari. Lunga vita a Meredith Gray (e ai dottor Stranamore che verranno).
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