Sorpresa sulla redditività Rai. Il report Mediobanca
La televisione pubblica italiana è più redditizia delle altre tv di stato europee e compete con i privati. Ha un giro d'affari complessivo da 2,7 miliardi
Che la Rai sia ancora il primo broadcaster nazionale in termini di giro d’affari complessivo, 2,7 miliardi, seguita da Sky (2,1 miliardi) e Mediaset (2 miliardi), non sorprende considerate le dimensioni dell’azienda. Quello che colpisce è che la Radiotelevisione italiana, talvolta descritta come un’azienda allo sbando, si distingua nel panorama europeo delle tv pubbliche per redditività industriale, con margini superiori alla Spagna e di gran lunga più elevati rispetto a Francia e Regno Unito. Eppure, il canone riscosso in Italia è il più basso in Europa per costo unitario: 0,25 euro al giorno per abbonato contro una media di 0,34 euro con punte di 0,6 euro per i contribuenti tedeschi e di 0,4 euro per quelli britannici. Alcuni dei dati che emergono dal report annuale dell’area studi di Mediobanca su Media&Entertainment, un’analisi a livello mondiale e italiano, dovrebbero essere scolpiti nella pietra in attesa di vedere l’impatto che sulla gestione economica della Rai avranno l’addio di Fabio Fazio e di Amadeus (e forse, si vocifera, anche di Fiorello), i cambi di palinsesto, l’arrivo di nuovi programmi e di conduttori più vicini alle sensibilità dell’area di governo. Insomma, un bilancio dell’aumentata influenza della politica su Viale Mazzini si potrà vedere a partire dal prossimo anno sapendo che il punto di partenza è un’azienda che, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, genera sacche di redditività che non hanno nulla da invidiare ai gruppi privati.
Se per fare un paragone tra la Rai e le altre tv di stato europee, Mediobanca ha utilizzato i bilanci del 2022, gli ultimi disponibili per tutti, per un confronto con i player privati che operano sul mercato domestico sono stati presi come riferimento i più aggiornati rendiconti 2023. E dunque? Anche qui, la Rai non sfigura con un indice di redditività più che raddoppiato al 5,1 per cento lo scorso anno rispetto al 2,5 del 2022. Su questo piano la Rai si confronta direttamente con Mediaset (margine al 7,5, quasi due punti sopra l’anno precedente) perché Sky sta appena recuperando terreno dal burrone in cui è precipitata dopo aver perso i diritti del campionato italiano di calcio e La7 presenta nel 2023 una marginalità negativa (meno 4,8 per cento) sebbene in miglioramento sia sul 2022 che sul 2019. La tv di Urbano Cairo, infatti, viaggia ancora in perdita nonostante le consistenti entrate pubblicitarie dei suoi programmi che, evidentemente, si confrontano con costi più elevati per produrli. Ma è vero che La7 fa parte di un grande gruppo editoriale e i risultati andrebbero letti anche in quest’ottica.
Tornando alla Rai e ai suoi competitor di ieri e di oggi, il mercato televisivo sta cambiando in fretta. E l’americana Warner Bros Discovery, con la sua svolta generalista e la caccia aperta ai talenti, rischia di condizionare il futuro della tv nazionale. Warner, che nel 2022 presentava una redditività del 7 per cento (il bilancio 2023 non è ancora disponibile), ha speso molto per arricchire il suo palinsesto con una campagna acquisti che potrebbe non essere finita. Più in là si vedranno i risultati di questi investimenti e le conseguenze sulla Rai che, nel frattempo, si è vista di nuovo abbassare il canone (da 90 a 70 euro) ottenendo in cambio la promessa del governo Meloni di compensare il mancato introito con un contributo statale di 413 milioni di euro netti (la somma è stata prevista dalla legge finanziaria). La scelta non è da biasimare perché la Francia, per esempio, ha addirittura abolito il canone nel 2022, ma con la crescente concorrenza della tv a pagamento (Netflix, per esempio, ha raggiunto 5 milioni di abbonamenti in Italia) il percorso della tv di stato appare in salita. Per l’intero 2024, Mediobanca stima una crescita del 2 per cento dei ricavi complessivi dei principali operatori del settore, grazie alla prevista ripresa del mercato pubblicitario (più 5 per cento), trainato principalmente da Olimpiadi ed Europei di calcio e dalla continua crescita delle piattaforme web e degli abbonamenti in streaming, trend quest’ultimo che, però, appare vicino alla saturazione per la riduzione del potere di acquisto del pubblico. Insomma, i broadcaster tradizionali devono imparare a stare in un settore in continua evoluzione e che in Europa sta abbracciando la tendenza alle aggregazioni (come testimoniano le scelte strategiche del più grosso gruppo dell’area, la francese Vivendi) per combattere la concorrenza dei giganti americani come Warner Bros Discovery, il nuovo editore di molti ex Rai.
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