Ricetta seriale

Perché vedere la quarta stagione di "Only murders in the building"

Gaia Montanaro

Su Disney+ la serie che coniuga crime, giallo, comedy, un tocco di musical e la migliore dramedy, con parata di stelle vecchie e nuove

Squadra (e format) che vince, non si cambia. Ritorna in grande spolvero su Disney+ la quarta stagione di Only murders in the building, serie che coniuga crime, giallo, comedy, un tocco di musical e la migliore dramedy. Gli ingredienti dei dieci episodi da circa quaranta minuti ciascuno che compongono anche questa nuova stagione sono sempre i medesimi: un gruppo di tre inquilini – Charles, Oliver e Mabel - che devono risolvere un delitto “stagionale”. Chiuso il caso della precedente stagione (la morte di Ben Glenroy), in questo nuovo capitolo si indaga sulla scomparsa di Sazz Pataki (la controfigura di Charles), che progressivamente si scopre essere stata assassinata con un colpo di pistola. Sul fronte teatrale invece, dopo la fallimentare chiusura del musical di Oliver (per la scarsa per non dire totale assenza di pubblico), c’è una novità direttamente da Hollywood. Una casa di produzione californiana vuole trasformare il podcast dei protagonisti in un film e per questo si deve mettere in conto una trasferta sulla costa ovest per discutere i dettagli dell’operazione.

 

Responsabile del progetto è Bev Melon (Molly Shannon), produttrice non proprio lungimirante (finanche ottusa) avendo scartato nella sua slate il film Barbie, che ha già pensato all’assegnazione dei ruoli per i tre protagonisti: Eugene Levy sarà Charles, Eva Longoria vestirà i panni di Mabel mentre Zach Galifianakis quelli di Oliver. Tutta l’operazione non entusiasma i newyorkesi, refrattari a una narrazione semplificatoria e cheap come si appresta a essere quella del film (e alle fumose condizioni economiche proposte per la trasposizione).

 

Parallelamente, si svelano sempre più indizi sulla morte di Sazz e Charles, Oliver e Mabel si trovano a chiedersi se il destinatario dell’omicidio non dovesse essere in realtà lo stesso Charles. Anche in questa nuova stagione della serie, parata di stelle vecchie e nuove. Riconferma (adorata) per Meryl Streep (che interpreta Loretta, la ragazza di Oliver), arrivano una bravissima Melissa McCarthy (che recita nella parte della sorella minore di Charles) e Richard Kind e Kumail Nanjiani, inquilini naif di un luogo particolare. Solo qualche nome tra i tanti, di una serie che coniuga registri, stili e linguaggi diversi.

 

Fa da fil rouge la qualità (di scrittura, prima di tutto, e poi di messa in scena). Il saper divertire in modo colto e ironico, raccontando – attraverso il filtro della commedia gialla – il rapporto (e le differenze) tra le generazioni, le idiosincrasie di certi mondi, l’eccentricità e l’autoironia come tratti distintivi. Omaggio finale, in chiusura del primo episodio, è quello a C’era una volta il west, che dà il titolo all’episodio e che rappresenta un elemento di continuità di genere anche per i successivi capitoli. "C’era una volta il west comincia con sette minuti di suoni e immagini. Ma una volta che li hai visti non li dimenticherai più" dice Charles. E come dargli torto?

  

Qual è il tono della serie in tre battute?

“Sì, ho dormito da Oliver. Sì, sono ancora una senzatetto. Sì, questa è la sua vestaglia meno offensiva”.

“Oliver, quello che vogliamo strangolare e coccolare allo stesso tempo. Charles, lo zio noioso di tutti col muso da tartaruga scorbutica. E Mabel, col fascino da millenial traumatizzata, senza lavoro, borbottante, in mezzo a questi due vecchi”.

“Congratulazioni! È bello vedere che un altro bianco canuto ce l’ha fatta”.

 

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