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Il ricordo

Vita e opere di Enrico Gabutti, campione della tv dimenticato da tutti i media

Sandro Parenzo

L'Avvocato della Rai scompare dopo un brutto incidente a Lourdes, lasciando in eredità un bagaglio di esperienze e aneddoti che dipingono un'epoca che non c'è più. Con coraggio e gusto dell'azzardo, ha cambiato per sempre la storia della terza rete e dell'intera televisione italiana

Sono passati ormai un po’ di giorni ma in pochi purtroppo ne hanno parlato. La storia è questa. Poco dopo ferragosto è venuto a mancare Enrico Gabutti, un grande protagonista della leggendaria rivoluzione televisiva di Rai 3, che senza di lui forse non avrebbe visto la luce. Ma chi era Enrico Gabutti, sconosciuto ai più? La sua singolare storia merita di essere raccontata. In realtà EG non era così sconosciuto, o meglio lo era nel mondo che di solito si frequenta, ma era davvero noto e riverito presso i casinò dell’occidente, di qua e di là dell’Atlantico. Ma andiamo per ordine. Per chi ha avuto la fortuna di accompagnarlo nelle avventure televisive, le origini sono poco certificate. Di sicuro aveva lavorato come truccatore o aiuto truccatore per alcune dive in film italiani dei quali non è rimasta traccia. Di certo entrò per concorso in Rai con il titolo di Avvocato. E per tutti da quel momento sarebbe stato l’Avvocato Gabutti della Rai. Alto, imponente ma per niente muscoloso, con due piedoni enormi e assai piatti, l’avvocato Gabutti, di forte formazione cattolica più che democristiana, divenne presto uomo di fiducia di Ettore Bernabei, il padrone assoluto della Rai. Quando nel 1987 Biagio Agnes, Enrico Manca e Walter Veltroni, tra i fumi di una carbonara, decisero che era giunto il momento di dare una rete al Pci, si accordarono ovviamente per quella più sfigata, per così dire, quella col budget più basso, quella che nessuno guardava: Rai 3.

       

 

Misteriosi sono i motivi che spinsero Veltroni a fare il nome di Angelo Guglielmi per la direzione, ma basterebbe questo per il Paradiso. Angelo era il responsabile del Centro di produzione di Roma, aveva inventato con Maurizio Costanzo il primo talk show italiano, ma era anche il critico letterario del Gruppo 63, il che avrebbe garantito ascolti vicini allo zero. Bernabei però non si sentiva del tutto tranquillo e pensò di mettergli alle costole un uomo di fiducia e garanzia: l’avvocato Gabutti, che sarebbe stato il responsabile dell’ufficio legale di Rai 3. Come dire: qualsiasi contratto di qualsiasi tipo sarebbe passato al vaglio di EG. Il suo ufficio sarebbe stato accanto a quello del Direttore. Un commissario politico. Fu forse il primo caso di una sindrome di Stoccolma al contrario. Perché l’avvocato Gabutti si innamorò di Angelo Guglielmi? Le versioni sono contrastanti. Perché aveva capito che il direttore non aveva alcun interesse a fare la tv del Partito comunista? Perché si accorse che in quegli uffici si parlava solo di televisione e si cercavano nuovi linguaggi? Perché avrebbe partecipato alla irripetibile ascesa di una rete dal 2 al 12 per cento? Perché tutto era maledettamente divertente? Forse, ma vorrei aggiungere un’altra ipotesi, irriverente ma intrigante.

L’avvocato aveva fiutato dal primo momento, nonostante gli scontri pesantissimi degli inizi, che aveva di fronte una creatura con delle affinità. Aveva percepito, anche se non razionalmente, che davanti aveva un grande giocatore d’azzardo. E nulla poteva avere per lui maggior fascino. Sia chiaro, Angelo era un pessimo giocatore di poker (spero non mi legga). Molti poker a casa mia, sempre con Gabutti, spesso con Dionisio Poli (capo di Telemontecarlo), qualche volta con Giuliano Ferrara che però ci snobbava come pezzenti, abituato lui a Lino Jannuzzi! No, non era quello il terreno dell’azzardo. Gabutti vinceva sempre, concedeva a Guglielmi regole nuove (“il mio full vale più del suo colore”) non per piaggeria, ma per la pietas del più forte. L’azzardo di Guglielmi si manifestava in Rai dove saltava qualsiasi procedura, firmava impegni che non poteva firmare, varava programmi senza alcuna verifica economica. L’avvocato evitò la galera al suo direttore. Rese legali contratti che gridavano vendetta, protesse la proprietà dei diritti, rese possibili accordi impossibili. Permise a Guglielmi e a Rai 3 di partecipare alla produzione di film (“Nuovo cinema Paradiso”) da Oscar. Ma non era azzardo mandare in prima serata Gad Lerner o ancor peggio Giuliano Ferrara? Certo lo era affidare a me tante produzioni.

    

 

L’Avvocato riuscì a concludere contratti con Santoro, Fazio, Chiambretti, Dandini, Parietti… Il rapporto tra i due entrò più nell’anedottica che nella leggenda. La mattina spesso Guglielmi proponeva un “buon caffè “che si andava a prendere (senza alcun permesso) al settimo piano, quello dei grandi poteri, presso gli uscieri della presidenza. Guglielmi lo voleva fare con le sue mani nonostante timide rimostranze degli uscieri. Partiva come un razzo e passando davanti all’ufficio dell’avvocato mollava tre pugni spaventosi sulla porta che risuonavano per tutto il piano. A quel segnale Gabutti appariva all’istante e seguiva in silenzio il Direttore. Prendeva anche lui il caffè e rientrava sempre in silenzio, con i suoi piedoni, nel suo ufficio. Si sono sempre dati del lei. Finita l’epopea di Rai 3 con l’uscita forzata di Guglielmi, rimasero incontri, qualche cena, tanti ricordi. Soprattutto era Gabutti a ricordare quello che non esitava a dire tra lacrime non celate “il più bel periodo di tutta la mia vita”.

Gabutti era straordinariamente generoso. A Pasqua mandava a noi reduci un uovo di cioccolata grande e pesante come un bambino di sette anni. Visto e gradito lo sconcerto, aggiunse la spedizione a fine anno di un Babbo Natale di cioccolata di dimensioni, se possibile, ancora maggiori. Gabutti veniva ogni tanto a Venezia richiamato più dal Casinò che dal Tintoretto. Una volta mi invitò a giocare con lui per rivelarmi il sistema infallibile alla roulette. “Non posso Enrico”. “Perché mai?”. “Perché non sarebbe elegante”. “Perché?”. “Perché sono il Presidente del Casinò”. “Lo ero per inspiegabili circostanze. Mai potrò dimenticare quello sguardo di vera considerazione che mai più in altre situazioni e altre avventure ho avuto il brivido di piacere di percepire”. Da quel momento mi arrivavano due uova a Pasqua e due babbi a Natale. Avremmo dovuto sospettare qualcosa, ci siamo detti con Lucia Campione, del mancato arrivo nell’ultimo Natale è nell’ultima Pasqua.

Qualcosa doveva essere accaduto. E difatti il figlio Lorenzo, molto simile al padre, mi ha dato la dolorosa spiegazione. Lo scorso 29 settembre l’Avvocato aveva deciso di recarsi a Lourdes con Lorenzo, che poi così scrisse in una lettera sul Corriere: “In genere a Lourdes si va per ricevere la grazia. La mia famiglia, viceversa, ne ha tratto una grandissima disgrazia. Mentre accompagnavo mio padre di 83 anni in visita al santuario mariano della cittadina dei Pirenei francesi, lo scorso 29 settembre, egli incespicava nelle colonnine segna-percorso lasciate, forse un po’ incautamente, oltre la bisogna nel piazzale antistante la grotta delle apparizioni, e cadeva a terra, battendo la nuca e riportando gravi lesioni. Vita familiare rovinata e sensi di colpa per non aver potuto prevenire l’incidente sono ora il nostro quotidiano”. L’Avvocato non si riprese più e dopo 11 mesi di agonia ha raggiunto ciabattando in silenzio il suo Direttore che ha battuto tre colpi alla sua porta.
 

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