l'intervista

Mussolini mio padre, e il Cav. scarso bevitore. Parla Bruno Vespa

Michele Masneri

Il sesso di Mussolini, il corpo della Rai e il vino di Puglia. Colloquio analcolico con il giornalista-viticoltore. 80 anni, 33 libri, e l’inizio coi necrologi al Tempo

Tra i Telegatti e i premi vinti per il vino, Bruno Vespa riceve in un ufficio del quartiere Mazzini non lontano dal Sacro palazzo Rai. Una gentile assistente offre acqua minerale. Non ci dà il “Bruno dei Vespa”, il suo rosso prodotto in Puglia? “Io sono affezionatissimo al Bruno”, dice lui.  “Il vino pugliese poi deve ancora fare molto per essere valorizzato come merita. Anche se ce ne sono di eccellenti risente ancora della tradizione che lo voleva vino da taglio”.
Se fosse un vino, invece, Mussolini sarebbe il cru più amato dagli italiani. Il metodo champenoise dell’editoria. Scurati, Mieli, Cazzullo, adesso Giordano Bruno Guerri. E poi lei con questo nuovo volume, “Hitler e Mussolini. L’idillio fatale che sconvolse il mondo (e il ruolo centrale dell’Italia nella nuova Europa)”. Cos’è, il quarto o quinto che fa su Mussolini?  


“Ho cominciato nel 2004 con “Storia d'Italia da Mussolini a Berlusconi”, con la collaborazione di Giulio Andreotti. E poi periodicamente ci sono tornato, e qui però è in parallelo con Hitler”. Ci sono delle strane coincidenze, anche le donne dei due dittatori, che muoiono  entrambe  a 33 anni, Eva Braun e Claretta Petacci. Le poverette che finivano sul suo cammino erano spesso spacciate. Come Ida Dalser, che ha perso ogni cosa. “Quella della Dalser è proprio una storiaccia, lei abbandonata finì in manicomio”. Sarebbe stata anche una storia di empowerment femminile. “Lei prima di conoscerlo aveva aperto un grande istituto di bellezza in Galleria Vittorio Emanuele a Milano. Finì tutto con la storia col Duce”. “Lui aveva questo irrefrenabile istinto sessuale, pur non essendo un amatore brillante, come si documenta dalla rapidità con la quale le signore entravano e uscivano da Palazzo Venezia”. Ah, ecco. Mussolini eiaculatore precoce. Su questo filone forse c’è ancora spazio editoriale. Secondo Gadda aveva anche la sifilide. “Non saprei dirlo con certezza. Però non ci credo molto, altrimenti saremmo tutti malati di sifilide”. Data la sua attività. 


Lei per primo, non è figlio di Mussolini? Una leggenda che gira da anni. Le date corrispondono, lei è nato nel ‘44 in Abruzzo, Mussolini nel ‘43 era in Abruzzo. “A parte l’onestà di mia madre,  posso dire che  le date non corrispondono. Mia madre andò a insegnare ad Assergi, dove avevano mandato Mussolini, solo nel 1949”. Si sente  mussoliniano in qualcosa,  lei? “Ma no. Sono bonario. Anche Mussolini aveva qualche tratto bonario, del resto, pur essendo un dittatore”. Insomma. E il  delitto Matteotti? “Per quello che disse alla Camera, oggi sarebbe condannato giustamente all’ergastolo, ma non sono convinto che abbia dato l’ordine di ucciderlo per le modalità dilettantesche  dell’esecuzione e perché gli ha procurato guai enormi”.   Ma secondo lei perché gli italiani sono così ossessionati ancora da Mussolini? In Spagna non lo sono da Franco, che pure è durato il doppio. “Perché Mussolini era amato e rispettato dalla gan parte degli italiani e pure all’estero, al contrario di Franco”. Secondo lei quanti degli elettori di Giorgia Meloni di oggi sono ancora nostalgici? “del fascismo direi zero. Dell’Msi meno  del 10 per cento. Poi c’è un grosso numero di persone che non è fascista per niente ma non vuole in nessun modo dirsi antifascista, essere confuso con quelli di sinistra”. 
 
La sua era una famiglia di destra?  “No, democristiani”. Suo padre cosa faceva? “Informatore farmaceutico”. Una volta mi ha raccontato che hai iniziato vendendo i necrologi sul Tempo. “Sì, io vendevo la pubblicità per il Tempo, ma il capo della redazione i necrologi li voleva lui perché erano più redditizi. Renato Angiolillo, il fondatore del Tempo, guardava soddisfatto la seconda pagina piena degli annunci funebri, apriva il cassetto della cassa e prendeva i soldi di quelli e andava a Montecarlo a giocarseli al casinò”.


 Lei ha attraversato  la storia  della tv italiana. L'annuncio del ritrovamento di Moro. “Anche prima, l’arresto di Valpreda”. Vermicino no? “In quel caso mi rifiutai di fare la diretta. Capii subito che quella storia sarebbe finita male, e me ne andai a casa a dormire.  Ci fu  anche la responsabilità del presidente della Repubblica dell’epoca, Pertini, che volle andar lì, a vedere, ad abbracciare i bambini. Anche se a lui i bambini non interessavano per niente. Gli interessavano le telecamere”. Ma dici che ha contribuito alla tragedia? “Di sicuro non portò serenità a chi stava operando. Una cosa che Mattarella non avrebbe mai fatto”.  E poi Onna, sorvolando l’Aquila distrutta dal terremoto. “E’ anche questione di fortuna. Un amico mi aveva prestato l'elicottero per andare a Ponza. Chiamai Gianni Letta, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e chiesi il permesso di sorvolare la zona del terremoto. Fui l’unico”. 


Letta è sempre stato un suo amico. “Lo incontrai per la prima volta nelle toilette del Tempo, a 19 anni”. E Berlusconi la prima volta? “Ero direttore del Tg1, doveva essere il 91 o 92. C'era Vizzini, il ministro delle Poste, che aveva fatto un convegno a Rimini, e Letta mi disse: se vuoi torniamo insieme con l’aereo di Berlusconi così te lo presento. Quando scesi dall’aereo dissi: quello ci frega tutti”. Berlusconi a Onna fece pure il famoso discorso il 25 aprile col fazzoletto dei partigiani al collo. “Già, ma poi da lì proseguì per Casoria”. E lì Noemi Letizia e tutto, quella sì un’altra sliding door della storia. 


A proposito di sliding door, quanti cambi di casacca ha visto nei suoi anni alla Rai? Ride. “Le dico solo che fino al ‘94 e all’arrivo di Fini non s’era mai visto uno, dico un missino a viale Mazzini. Dopo, furono centinaia”. Ma TeleMeloni oggi è peggio delle solite lottizzazioni? “No, è sempre la stessa cosa”. Raccontano che oggi ci siano funzionari di partito che pretendono di leggere le scalette dei programmi, cose così. “Questo non lo so. Però la libertà tu te la devi anche conquistare. Per esempio con Berlusconi: lui veniva con i suoi grafici, i suoi dati, ma io materiale di partito non l’ho mai accettato.  E le riprese: sempre con le nostre telecamere, mai filmati realizzati da loro. Infine Mitì Simonetto, la sua assistente, pretendeva di stare in sala regia, ma io l’ho sempre tenuta fuori”. Giuliano Ferrara una volta l’ha definita “equivicino”, il contrario di equidistante. Non è male come battuta. “No, non è male. Ma io ho seguito tutti i cicli.   Durante il periodo del Compromesso storico ero la Madonna, i comunisti mi portavano in palmo di mano. Poi ero quello prostrato al potere. Bisogna avere pazienza. Mi ricordo il leggendario presidente della Rai Bernabei che prendeva uno dei suoi e gli diceva: tu sei socialista! E quello: ma direttore, io sono democristiano. No, tu da oggi sei socialista. Perché servivano nomi in quota Psi”.


 Poi c'era la profezia che lei sarebbe finito a Mediaset. Lei è l’unico uomo Rai che non è mai andato a Mediaset. “E’ vero, Berlusconi me lo diceva sempre, era in particolare colpito dal basso costo di produzione di Porta a Porta. All’inizio quando me lo propose pensai fosse una berlusconata, invece aveva fatto le sue verifiche. Adesso Pier Silvio mi ha detto: venga, venga a fare un giro, si faccia un’idea”. Berlusconi dove lo vedeva? “Per le interviste, a villa Certosa, ma lì non si combinava mai niente, era tutto un ‘ti faccio vedere il giardino, il nuovo roseto, le nuove piante grasse’, eccetera. Poi dopo pranzo, si abbioccava”. Beveva il Bruno dei Vespa? “No, Berlusconi non è mai stato appassionato di vino, ha sempre bevuto poco e male”. Ma tipo? “Vini meno pregiati di quelli che si sarebbe potuto permettere”. Tavernello? “No, be’, non esageriamo. Ma col tempo sono riuscito a educarlo enologicamente”.


Senta, invece, tornando ai libri, lei fa questi volumi che sono unici, proprio come struttura, perché c'è una parte iniziale storica e poi parte con l’attualità, gran riassuntone dell’anno in corso, tipo Calendario Atlante De Agostini. Ho pensato se ci sono altri esempi del genere ma non ne ho trovati. Forse quelli di Giorgio Bocca. E poi nei suoi ci sono le interviste politiche, che poi escono come anticipazioni e lanciano il libro. Lei è diabolico. “No, Bocca era diverso, lui faceva dei libri storici che erano storici e politici che erano politici. Io cominciai coi libri di attualità politica  e poi proposi di passare alla storia, all’inizio erano tutti scettici, ma feci il botto, con quello in collaborazione con Andreotti”. Quanti ne ha pubblicati? “Questo è il trentatreesimo”. Come scrive? Al computer? “Sì, anche se sono lento. Ero molto più veloce  alla macchina da scrivere”. Quanto vende? “Ai tempi d’oro anche 300-350 mila copie, ora, col calo generalizzato, tra le  70 e le 140  mila, dipende”. Ha un agente? “No, sbagliando non ce l’ho, faccio io le trattative”. Un tempo ne scriveva due di libri all’anno, uno per l’estate e uno per Natale. “Ma ora non riesco più, è troppo impegnativo”.

 

Come funziona? “Faccio una proposta alla casa editrice, comincio a lavorarci verso febbraio-marzo, e consegno prima la parte storica, verso settembre, e poi quella di attualità, a ridosso dell’uscita”. Si narra di una struttura Delta alla Mondadori, addetta ai suoi libri, che escono quasi in tempo reale rispetto alla consegna. “Be’, struttura Delta non so, ma è una squadra molto brava. Chiusura sabato a mezzogiorno, in libreria  martedì”. Nel frattempo filtrano le anticipazioni. “Si figuri che una volta siamo riusciti a mettere anche le anticipazioni del libro nel libro”. Cioè? “Cioè abbiamo fatto il lancio, con le interviste uscite sui giornali, e poi ci sono state le reazioni, e facemmo a tempo a inserire pure quelle nel libro”. Il libro circolare, neanche Proust. Su cosa sarà il prossimo? Ancora su Mussolini? “Sempre su Mussolini. Dal ’38 al ‘45”.
 

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).