Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Dan Aykroyd con la faccia pitturata di nero, Jamie Lee Curtis come prostituta sessualizzata, battute "razziste”. Gli indignati d’oggi non sono capaci di abbandonarsi a quell'improvvisa scarica di felicità della risata, alla ricerca di un paradiso cinematografico progressista e noioso
Hanno avuto un bel po’ di tempo a disposizione e alla fine se ne sono accorti, i wokisti italiani si sono svegliati e indignati. Probabilmente perché questa volta "Una poltrona per due” (1983) non passa soltanto in televisione la sera del 24 dicembre, come succede da trent’anni, ma è stato proiettato in versione restaurata anche al cinema. E’ un mistero il perché un film così americano sia diventato un appuntamento fisso nei palinsesti di Natale. Forse, però, nemmeno troppo: rielabora un racconto fiabesco di Mark Twain dove un ricco e un povero si scambiano i ruoli e il ricco deve vivere da povero e il povero da ricco, e le fiabe, si sa, hanno una potenza di seduzione universale. Il regista John Landis ha segnato la storia del cinema con film dove mescola il comico, l’horror, il musical, l’azione, inanellando ogni volta una serie di gags abbastanza miracolose tenute insieme da un plot elementare e da un commento musicale scelto con attenzione, che nel film incriminato è Mozart: la sequenza iniziale mostra la città di Philadelphia mentre si sveglia in una frizzante mattina d’inverno alternando i palazzoni del potere e le strade occupate dagli homeless, con in sottofondo Le nozze di Figaro, l’opera dei travestimenti e degli inganni.
I wokisti italiani si lamentano che manca un cappello introduttivo per mettere in guardia quei cerebrolesi degli spettatori: attenti al cane, ascolterete battute razziste e sessiste, a casa vostra non fatelo. Infatti c’è un milionario che a un certo punto chiama Eddy Murphy “negro”. Il riccastro è il villain della situazione, un personaggio laido che dall’inizio alla fine dice e fa cose laide, ma può darsi che lo spettatore si sia fatto sfuggire questo dettaglio, quindi è meglio capitolare di fronte alla sua idiozia e avvertirlo. Sotto accusa c’è anche una sequenza dove Dan Aykroyd ha la faccia pitturata di nero perché finge di essere uno studente giamaicano e cannaiolo. Come hanno scritto su Vanity Fair, “è sicuramente, tra tutte, la cosa che nella contemporaneità risulta più offensiva, reazionaria e antiprogressista”. Tra tutte? Allora ce ne sono altre. Ad esempio Jamie Lee Curtis – che interpreta una prostituta cuoredoro – indossa abiti eccessivamente succinti e viene “sessualizzata”.
Ora, se uno non ha gli occhi soltanto per piangere, capisce che è abbastanza difficile non “sessualizzare” Jamie Curtis. D’altronde il cinema è stato inventato per far vedere le cose che di solito vengono tenute nascoste: corpi svestiti oppure la violenza. I film comici hanno a che fare soprattutto con la seconda. Quando incontrano un gruppo rivale le scimmie mostrano i denti ed emettono suoni ritmici come per dire: potrei accopparti ma non lo faccio. E’ un modo per annientare l’avversario senza spargimenti di sangue. Ridere dà una improvvisa scarica di felicità perché ci fa sentire forti, magari per trenta secondi, che è meglio di niente. Gli indignati d’oggi non sono capaci di simili abbandoni, e dal loro punto di vista hanno ragione.
Se si vuole cancellare dagli animi qualsiasi traccia di aggressività, si deve cominciare con la sua forma più subdola e diffusa: la risata. Però bisogna essere coerenti e andare fino in fondo, non vanno sbianchettate soltanto le battutacce razziste degli anni Ottanta oppure Tarantino, ma anche Charlie Chaplin che casca per terra, perché ci stiamo divertendo alle spalle di un povero cristo, e Bugs Bunny che turlupina Yosemite Sam, perché incoraggia i piccoli spettatori a essere disonesti con gli anziani.
Forse i nuovi Savonarola sono nel giusto: togliamo di mezzo le cose offensive, cominciando da quelle che fanno ridere. Gli attori interpreteranno lunghe sedute di autocoscienza o magari si saluteranno cortesemente per novanta minuti. Il paradiso cinematografico progressista. Certo, come tutti i paradisi, un po’ noioso, ma l’alternativa potrebbe essere uno schermo nero.