La salute del piccolo schermo
La resilienza della tv generalista di fronte ai nuovi media
I tempi cambiano, ma la televisione tradizionale continua a mostrare la sua vitalità. Gli italiani preferiscono passarci davanti 3 ore e mezza della loro giornata, dedicando molto meno tempo alle piattaforme. Una resistenza legata alla debolezza di internet nel nostro paese, ma l'erosione degli ascolti è dietro l'angolo
Il consumo televisivo è stretto fra due estremi. Secondo molti articoli e inchieste la televisione generalista sarebbe morta da tempo, il suo ascolto confinato a vecchi nostalgici telemorenti, soppiantata da piattaforme di streaming e consumi digitali. Dall’altra parte ci sono i professionisti del settore che guardano con sollievo alla relativa stabilità che presenta il settore in Italia. Con circa 3 ore e mezza giornaliere viste dalla popolazione, la televisione tradizionale continua a essere uno dei principali consumi informativi, probabilmente l’attività che si svolge maggiormente lungo la vita dopo il dormire. Oltre c’è il cosiddetto ascolto non riconosciuto stimato da Auditel in un ulteriore 17-18 per cento e che comprende per un quarto le piattaforme di streaming, un altro quarto di videogiochi e Dvd non collegati, per un 4 per cento gli ascolti online dei canali tradizionali e per il resto navigazione e videogiochi online.
Per le piattaforme di streaming va considerato in aggiunta il consumo su pc e telefoni. Complessivamente 5 milioni di abbonati della principale piattaforma si connettono per poco più di mezz’ora al giorno quindi i volumi di ascolto rimangono piuttosto contenuti. Questa resilienza veniva sottolineata qualche giorno fa al convegno del CeRTA in Università Cattolica a Milano dove molti interventi hanno celebrato la vitalità della televisione, la sua capacità di produrre e il suo ingresso nel digitale. Se gli ascolti in rete valgono in totale un 4 per cento aggiuntivo, per molti programmi i valori sono sostanziali come “Mare fuori”, Sanremo, “C’è posta per te” e “Grande Fratello”.
Ma la situazione è meno tranquilla di quello che sembra, l’erosione dell’ascolto da parte di streaming e digitale è strutturale e nei prossimi anni potremmo assistere a un declino dell’ascolto televisivo analogo al calo sofferto dai giornali negli ultimi dieci anni. Intanto negli altri paesi europei i consumi della tv tradizionale sono scesi più rapidamente e in diversi paesi sono di circa un’ora giornaliera inferiori ai nostri. La resistenza dell’Italia appare collegata alla debolezza di internet, con una minore penetrazione della banda larga e per via della ridotta alfabetizzazione informatica. Fuori dall’Europa, dove la televisione non aveva fatto a tempo a consolidarsi, il calo dei consumi tv è anche più rapido con Tv Media Fact che riporta 2 ore in Asia 1,5 ore in Oceania e meno di 3 ore negli Stati Uniti che partivano da oltre 5 ore giornaliere negli anni Novanta.
Ci sono segnali che testimoniano come anche in Italia l’erosione sia in atto. Innanzitutto il calo della copertura giornaliera, cioè la percentuale di persone che in un giorno medio guardano la tv, passata dall’80 per cento prima del 2000 al 68 per cento nel 2023, ma al 42 per cento per i giovani tra 15 e 24 anni. Inoltre il calo consistente di consumo per gli under 34 che è meno della metà della media nazionale.
Spesso si guarda alle piattaforme di streaming come i principali concorrenti, anche per la loro capacità di produrre film e serie perfettamente paragonabili a quelle degli incumbent. Ma per tutta l’area unscripted dell’intrattenimento e dei talk, i potenziali sostituti sembrano più TikTok o YouTube dove i contenuti sono abrasivamente diversi e dove è cresciuta una generazione di professionisti non assimilabile all’industria tradizionale.
Se un canale ha almeno 1.000 iscritti YouTube restituisce al content creator il 55 per cento degli investimenti pubblicitari raccolti. I primi canali italiani con 5-10 milioni di iscritti possono fatturare qualche milione di euro, ma gli internazionali arrivano a 30-40 milioni l’anno, più o meno il fatturato di una media casa di produzione italiana. E YouTube nella popolazione sotto i 55 anni ha una copertura giornaliera superiore a quella di Rai1 e Canale5.
Mentre le piattaforme indirizzano l’ascolto attraverso gli algoritmi di raccomandazione, la televisione tradizionale ha alcuni punti di forza nella capacità di creare appuntamenti, nel traino da un programma al successivo e nell’inerzia dell’ascolto. Infatti uno stesso film genera più ascolto in un canale grosso che in un canale piccolo. Però l’erosione dell’ascolto unita alla frammentazione dei canali riduce inevitabilmente il costo medio di produzione dei programmi e, mediamente, li rende meno attrattivi perché ne riduce il production value.
Questi fenomeni convergenti potrebbero a un certo punto portare a un ridimensionamento, anche drastico, dell’industria televisiva tradizionale, facendo scattare un circolo vizioso. Va detto che in Italia gli editori televisivi si sono difesi meglio di quanto abbiano fatto i loro colleghi della stampa e i loro omologhi europei. Hanno lavorato sulla disponibilità di dati omogenei per i consumi lineari e digitali, facendo evolvere la misurazione di Auditel e valorizzando sul mercato pubblicitario la loro presenza in rete. Inoltre la quantità di prodotto originale è superiore a quella di altri paesi, anche per la particolare configurazione del mercato italiano dove la televisione pubblica è sempre stata in concorrenza diretta con la televisione commerciale, in parte per ragioni politiche, generando in questo modo una televisione complessivamente più commerciale, ma anche più competitiva.
Non credo che queste peculiarità italiane potranno ribaltare il calo della televisione tradizionale che ha origini strutturali, ma forse potrebbero rallentarlo dando tempo alle aziende migliori di trovare un riposizionamento.
Marco Gambaro. Università Statale di Milano
Politicamente corretto e panettone