"M" come Male assoluto
Marinelli si scusa per Mussolini, come se Hopkins dovesse chiarire di non essere cannibale
“Interpretare M è stato molto doloroso”, “purtroppo ho dovuto farlo”, anche se non si capisce chi o cosa abbia costretto l'attore ad accettare il ruolo nella serie tratta dai libri di Scurati
Si usa in genere il tremendissimo cliché “ultima fatica” per il lancio di libri, film, dischi, ma per questo “M” in arrivo su Sky la fatica non basta. Non rende neanche lontanamente l’idea. “Interpretare M è stato molto doloroso”, spiega Luca Marinelli, protagonista della maestosa saga di Scurati diventata serie-evento. Un transfert impossibile. Un calvario dell’immedesimazione che non possiamo immaginare. “Non mi volevo avvicinare a Mussolini, ma purtroppo ho dovuto farlo”, anche se non si capisce chi o cosa l’abbia costretto, forse il suo agente, ci auguriamo con ottime argomentazioni. “E’ stata comunque una cosa molto lunga. Una decisione sofferta. Indeciso se accettare o meno, Marinelli si consultava con la nonna, “matriarca di una famiglia partigiana” (così Repubblica) e che proprio non voleva, era contraria, fai tutti, ma Mussolini no! (non potevi fare Berlinguer come Elio Germano che è tanto bravo? Perché ti vai a impelagare col Duce che non lo sai fare?). Poi alla fine s’è trovato un accordo. Lo farò, ma antifascista! Sarò il Duce ma anche la “brigata M”! “Ho interpretato Mussolini come in una missione antifascista”, dice Marinelli, quindi sotto copertura.
Un antifascista che scivola nell’inconscio e nel corpaccione del Duce, con la pelata, il mascellone, un po’ di italica panza, in una catarsi massima, un esorcismo collettivo e democratico da cui non si poteva che uscire sfiniti, stravolti, addolorati. Ogni volta che incrociamo il promo rivediamo il gerarca Catenacci di Bracardi, “Duce… tu che fai tutto fammi torna’ la vista!”, ma questo mascherone di Mussolini restava appiccicato addosso tutto il giorno a Marinelli. Anche fuori dal set. Era insopportabile, “mi restavano solo gli occhi azzurri e le mie convinzioni”. Una tribolazione che non finiva più. “Da antifascista sono statisette mesi molto duri per me”.
Ora per carità, va bene tutto, ma se ce l’ha fatta Bruno Ganz con Hitler, se uno ha scelto di fare l’attore, insomma non si capisce il problema. In teoria ti pagano per questo. Si fatica a immaginare Anthony Hopkins che dice “da vegetariano è stato doloroso fare il cannibale Hannibal Lecter”, o il tormento di Gary Oldman che diventa Dracula “mantenendo sempre vivo il mio ripudio dei vampiri”, o Brad Pitt che “amo la vita, per me è stata davvero dura fare la morte in ‘Vi presento Joe Black’”. Ma siamo a Hollywood. Quello è un lavoro, non una missione civile. Qui non c’è il senso della misura. E’ un transfert totale.
Anche Scurati ne esce stravolto. Il quinto volume della saga uscirà il 25 aprile. Dodici anni di lavoro. Un’impresa che “ha segnato psicologicamente lo scrittore”. “Non riconoscevo più la mia voce. Sentivo Mussolini sempre presente, fuori e dentro”. Ci vorrà un gruppo di sostegno, un rehab per antifascisti penetrati dal Male. Anni e anni di analisi. “Ne ha parlato con l’analista?” domanda Repubblica; “Vado dallo psichiatra”, taglia corto Scurati (ormai si alza il tiro, dall’analista ci vanno pure i tronisti, Giulia De Lellis racconta le sue sedute di terapia nelle stories, gli artisti hanno la psichiatria). Il regista della serie, Joe Wright, si è divertito invece a mettere qui e là qualche riferimento al presente, con Mussolini che a un certo punto trumpeggia dicendo Make Italy Great Again o fa il gesto del dito medio. “M è un archetipo che si riproduce nelle famiglie, nei gruppi, in tutti noi. Il messaggio è: cercate di non esserlo”. Mi raccomando. Cerchiamo di guardare “M” da antifascisti, non abbassate mai la guardia. E soprattutto: non fatelo a casa!