Il racconto

Anche Amadeus e Fiorello hanno guardato Sanremo. Il ministro Urso all'Ariston (con un francobollo)

Salvatore Merlo

La città cambia volto: se prima l'oggetto del desiderio era Fiorello, ora la caccia è ai selfie con i cantanti. Anche quelli che l’anno scorso non si filava (quasi) nessuno. Il ministro del Made in Italy ospite al Festival per presentare l’ennesima affrancatura celebrativa 

Sanremo, dal nostro inviato. Amadeus e Fiorello ieri sera hanno guardato Sanremo, ci assicurano i loro amici. “Un giocatore di football secondo te non lo guarda il Super Bowl? Anche solo per tifare contro”. E allora bisogna immaginarseli, il conduttore e il mattatore delle ultime cinque stagioni, sul divano, mentre lasciano dondolare i pensieri tra nostalgie e propositi. Ma stamattina Amadeus non avrà la soddisfazione di un confronto Auditel con Carlo Conti, perché gli ascolti di questo Sanremo non saranno calcolati solo sulla tv ma su tutte le piattaforme (“meno male”, dice Conti). Mentre Fiorello è già il grande assente. Per le strade di questo paesone ligure manca infatti il turbointrattenitore, quello che l’anno scorso era ovunque: su un balcone, dietro a un vetro, su una gru, al di sopra e al di sotto del palcoscenico del Teatro Ariston.

  
Era lui, Fiorello, l’oggetto del desiderio, l’obiettivo di tutti quegli squadroni della morte composti da bagonghi venuti da ogni parte d’Italia. Quelli che armati di cellulare scorrazzano per Sanremo  alla ricerca di un selfie, all’incirca come gli indiani cercavano gli scalpi. Adesso – incredibile – cercano i cantanti che l’anno scorso non si filava (quasi) nessuno. Diceva Ennio Flaiano: “In Italia una volta c’erano otto milioni di baionette e oggi ci sono otto milioni di fotografi”. E non aveva idea che un giorno ci sarebbero stati gli smartphone. Alle 10 di sera, accanto al Forte Santa Tecla, una fortezza del 1700 in cui lunedì ha cantato Cristina D’Avena (a non troppa distanza dalle banchine del porto dove i copiosi ratti di Sanremo corrono la formula uno), ecco, proprio lì, su una panchina, si ritrova un gruppo di selfiste anonime. Reduci dalla caccia. “Chi hai fotografato te?”, chiede una. “Tedua, Tony Effe, Stash… Due volte Stash”, risponde l’altra. “E Bresh?”. Poi discutono addirittura intorno al problema di chi abbia gli addominali meglio scolpiti (pare sia Irama, ma non c’è accordo). E qui va fatta una considerazione. Lo sforzo compiuto per esprimersi e per sostenere le proprie idee, anche sugli addominali dei trapper, può in fondo essere interpretato come una delle influenze più positive della televisione, e di Sanremo in generale, in quanto costringe pure le selfiste a un’evoluzione per così dire intellettuale. L’argomento, in fondo, non importa. Quel che conta è il senso critico. Diceva d’altra parte il vecchio Ettore Bernabei, fondatore della Rai: “Ricordatevi, noi la televisione la facciamo per quelli che si dondolano dagli alberi”. Ma non si dica che la Rai non educa.

  

La direttrice di Radio 2, Simona Sala, per esempio, a un certo punto spiega perché non manda in onda la canzone di Tony Effe. “Non è censura”, dice lei con aria decisa. “Semplicemente certi cantanti, certe canzoni, non le passiamo”. Non fa una piega. E subito dopo: “Daremo invece un premio alla canzone più sostenibile”. Tipo le pale eoliche? I dirigenti della Rai sono uno spettacolo nello spettacolo, ma solo per veri intenditori. Circola, per dire, non da oggi, la leggenda della competizione tra il direttore generale ed ex amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, e l’attuale amministratore delegato, Giampaolo Rossi. In realtà li vediamo andare in giro a braccetto al Teatro Ariston. Poi chiediamo a Sergio – che da quando non è più il numero uno della Rai ci dice di avere perso “venti chili” – perché quest’anno la Rai non si è spostata tutta in blocco, in treno, come l’anno scorso. Era gratis per l’azienda: scambio merci con Trenitalia. Risposta: “Troppe polemiche, anche politiche”. Obiezione: ma non ci siete abituati alle polemiche? “Io sì, ma lui no”. Lui è Rossi. Ecco. Il direttore dell’Intrattenimento Rai, Marcello Ciannamea, quello che Fiorello chiamava “Ciannameaculpa”, il manager “responsabile” di Sanremo, uno che quest’anno si è deciso di non mandare mai più da solo in conferenza stampa (visto che  non bisognerebbe neppure lasciarlo uscire solo di casa), ha invece confermato che sabato sera ci sarà un ospite. Un super ospite. Altro che Vannacci. Il ministro Adolfo Urso!  

 

In platea, all’Ariston. Due anni fa c’era Mattarella. Ma perché viene Urso? “Presenta un francobollo”. Ovvio. In Italia, grazie a Urso, ormai ci sono più francobolli che buste da lettera. Dopo quello dedicato a Silvio Berlusconi, solo negli ultimi mesi il ministro del Made in Italy – o delle Poste? – ha presentato francobolli per Rocco Chinnici, Benedetto Cairoli, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Michelangelo Buonarroti, Luciano Manara, Sergio Ramelli, Giovanni Domenico Cassini, Giovanni Spadolini,  il Giubileo 2025,   la battaglia di Pavia,  i paracadutisti della Folgore, la Liberazione, la sicurezza sul lavoro, le capitanerie di porto, la distruzione di Zara, l’ordine militare d’Italia… e ora Sanremo. Ma questo francobollo è diverso dagli altri. Questo francobollo è la sua romanza, la sua canzone in gara. Chissà che avrebbe detto Fiorello.

                 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.