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Foto Ansa
Anti woke e non estremisti
Sanremo mostra la nuova egemonia culturale di destra: appoggiarsi al mainstream per essere presentabili
L’identità della destra, attraverso il Festival, si è affermata per sottrazione: pochi messaggi politici, pochi moralismi sfacciati, niente sovranismo, molto establishment, molta moderazione
È vero: bisognerebbe stare molto attenti a osservare Sanremo con gli occhi distorti della politica. E bisognerebbe trattenersi in tutti i modi, nella settimana santa della musica italiana, prima di entrare in modalità Sanremo spiega il mondo, Sanremo spiega l’Italia, Sanremo spiega la nostra cultura, Sanremo spiega la nostra politica. Bisognerebbe farlo, anzi sarebbe un dovere civico, persino morale, e di fronte a un’Europa che non riesce a difendersi dall’ondata del trumpismo, un’Ucraina assediata anche dall’America, attentati violenti in Germania, ascese delle destre estremiste in giro per l’Europa, ci sarebbero temi decisamente più importanti di Sanremo. Ma quando si è di fronte a Sanremo, si sa, come diceva Oscar Wilde, si riesce a resistere a tutto, tranne che alle tentazioni.
E così anche noi non siamo riusciti a trattenerci da un istinto irrefrenabile: provare a capire cosa si intravede, dell’Italia, soprattutto di quella politica, in quel formidabile specchio chiamato Festival della canzone italiana. E allora proviamo a offrirvi un piccolo spunto di riflessione: e se Sanremo fosse il simbolo gioioso e consapevole del fallimento dell’egemonia culturale della destra populista?
Ai tempi delle polemiche sui monologhi sui migranti, sui baci fluidi, sull’ostentazione gender, la destra non ancora di governo aveva promesso che, una volta al potere, gliene avrebbe cantate quattro alla dittatura del wokismo. E invece, in coerenza perfetta con lo spirito del tempo, l’identità della destra, attraverso Sanremo, si è affermata per sottrazione. Pochi messaggi politici, pochi moralismi sfacciati, niente sovranismo, molto establishment, molta moderazione, molte onde medie, come direbbe Salvatore Merlo, molti testimonial coraggiosi, molta ricerca della moderazione e molta ricerca della normalità. Il fallimento dell’egemonia culturale della destra, il fallimento cioè di quell’idea rétro di dover sostituire a colpi di identità feroce la vecchia identità progressista, è nella consapevolezza progressiva, da parte della destra, della necessità assoluta di appoggiarsi al mainstream, e non ai propri istinti populisti, per essere presentabili, per non essere attaccabili, per non inciampare.
Si può parlare ai giovani senza trasformare l’essere fluidi in una religione di stato. Ci si può immergere nella musica senza sentire il dovere di riempire ogni vuoto con una iniezione di antifascismo. Si può provare a far sorridere senza dover necessariamente mettere in campo i propri Pino Insegno ma recuperando dei campioni come Nino Frassica (picco di ascolti di mercoledì sera alle 23.57, 70 per cento, con uno sketch di Nino Frassica).
L’egemonia culturale modello Sangiuliano – Dante è di destra, Gramsci è di destra, e se non ci si pappa una mezzora di documentari sulle foibe ogni giorno si è estremisti di sinistra – si è rivelata un boomerang grottesco e anche lo sfogo di ieri di Simone Cristicchi, sul fatto che Amadeus cinque anni fa non scelse la sua canzone oggi osannata dedicata alla madre malata, non cambia di una virgola un messaggio politico di cui la normalità di Sanremo (giuriamo che non scriveremo mai nazionalpopolare) è evidente veicolo: al wokismo esasperato puoi anche non rispondere portando sul palco gli eccessi opposti. Si potrebbe dire che il momento più di destra del festival c’è stato ieri pomeriggio in conferenza stampa, quando il direttore artistico, Carlo Conti, rispondendo a una domanda sull’opportunità di Fedez di essere al Festival di Sanremo nonostante le intercettazioni che lo hanno visto protagonista insieme al cantante Emis Killa (indagato e ritirato da Sanremo giorni fa) di fitte conversazioni con un capo degli ultras del Milan arrestato per narcotraffico, ha risposto “io sono un direttore artistico, non un giudice, sono un garantista, per quanto riguarda qualsiasi tipo di processo e per me è fondamentale la presunzione di innocenza”. Si potrebbe dire che le parole di Conti siano di destra, d’accordo. Ma se mettere in mostra il proprio garantismo è diventato un tema di destra forse a essersi allontanata dalla normalità, a Sanremo e non solo, non è la destra populista, ma è chi si è visto scippare via, anche fuori dall’Ariston, una grande egemonia culturale chiamata mainstream.
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