Simone Cristicchi sul palco di Sanremo 2025 (foto LaPresse)

Sanremo 2025

A Sanremo, e non solo, il vero duetto è quello di Meloni e Schlein

Salvatore Merlo

Non solo la segretaria del Pd, anche la presidente del Consiglio: “Per me ha già vinto Cristicchi”. Le grandi intese al Festival

È l’unico vero duetto politicamente vincente di ieri sera, non quello delle magnifiche Giorgia e Annalisa, ma quello di Giorgia (Meloni) ed Elly (Schlein): cantano Simone Cristicchi. Ve lo possiamo garantire. Il presidente del Consiglio non ha guardato molto Sanremo in questi giorni, forse guarderà la finale, dipenderà dagli impegni, chissà, ma “per me ha già vinto Cristicchi”. Ecco. Ed è qui che allora parte il duetto, è qui che la canzone trova il suo acuto, è qui insomma che si compiono le grandi intese repubblicane, perché anche la segretaria del Pd ha detto su Facebook che quella di Cristicchi “è una bella canzone”. Probabilmente questa convergenza, se non cementerà altre intese dopo quella sull’elezione dei giudici della Consulta, se non porterà com’è stato giovedì a ben tre telefonate fra il capo della maggioranza e la leader dell’opposizione, ecco almeno servirà (forse) a sgombrare il campo della discussione pubblica – che in Italia è più concentrata su Sanremo che sui destini dell’Europa e dell’Ucraina – dal grande interrogativo: è quella di Cristicchi una canzone di destra o no? Piace a Meloni, potrebbe esserlo. Ma piace anche a Schlein, come la mettiamo? 

 

Pur volendo rifuggire dall’interpretazione politica di fatti che politici non sono, ma consapevoli che già dal 1968 si è sostenuto che tutto è politico, e certi infine che un po’ d’ironia ci vuole sia in politica sia a Sanremo, ecco che allora ci chiediamo se questo Festival non stia producendo davvero inaspettati e insospettabili esiti di concordia nazionale. E non soltanto perché Giorgia ed Elly cantano insieme Cristicchi, ma anche perché ci sembra di poter dire che questo Festival della Dc, nel senso di “Democrazia Conti”, abbia persino ricucito quella famosa e inquietante separazione tra popolo ed élite che è stata all’origine della tumultuosa stagione politica che qui da noi aveva prodotto il governo di 5 stelle e Lega e che negli Stati Uniti, già nel 2017, trovava la forma (e il colore dei capelli) di Donald Trump.

   

L’anno scorso a Sanremo, per chi lo ricorda, accadde che  il popolo (cioè il televoto), in lotta contro l’élite (la giuria dei critici), aveva tentato di ribaltare le scelte della sala stampa e di imporre la vittoria di Geolier, il rapper napoletano così tanto votato dalla gente che il gran numero di telefonate  aveva fatto saltare i sistemi e i centralini di Telecom Italia. Finì come finì. Ovvero come finisce spesso anche in Parlamento, insomma finì che l’élite, la sala stampa, s’impose sulla volontà popolare, quasi con un governo tecnico, assegnando la vittoria ad Angelina Mango, che era il Mario Draghi, o il Mario Monti, di Amadeus. Popolo respinto. Cosa che ebbe poi effetti tellurici e polemici, con accuse di brogli e combine, di oscure e massoniche alleanze tra critici e giornalisti nemici della libertà e della democrazia, un po’ come capitava ai tempi del Covid quando veniva denunciata l’esistenza di diabolici poteri vaccinisti che andavano da George Soros fino a non meglio specificati produttori di chip sottopelle.

   

Ebbene, a riprova che siamo oggi in una stagione politica (musicale) completamente diversa, è accaduto l’incredibile. L’impossibile. Nella seconda serata di Sanremo infatti, come tutti ormai sanno, il popolo, cioè il televoto, ha confermato le scelte dell’élite, ovvero della sala stampa. A popolo ed élite, udite udite, piacciono le stesse cose:  Giorgia, Lucio Corsi, Simone Cristicchi e Achille Lauro. Che è un po’ come se Joe Biden si fosse unito ai rivoltosi dell’assalto al Campidoglio di Washington, tipo quel tizio con le corna in testa. Ma così è. E allora il popolo duetta con l’élite, come Schlein duetta con Meloni, alto e basso, destra e sinistra, massa e nicchia, in una straordinaria riconciliazione nazionale, in un clima di grandi intese suggellate sul palco dell’Ariston di Sanremo all’ombra – è proprio il caso di dirlo – dell’abbronzatura di Carlo Conti. Tutto un duettare tra opposti che potrebbe, chissà, portare ben presto a una riforma elettorale condivisa di carattere maggioritario e bipolarista tra il Pd e FdI, ma che al momento,  per quanto ci riguarda, presenta un  aspetto non del tutto positivo. Ovvero che se l’intesa regge, se insomma Meloni e Schlein, destra e sinistra, continuano a cantare Cristicchi, alla fine  il Festival lo possa vincere proprio lui.

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.