Achille Lauro al Festival di Sanremo 2025 (Ansa) 

le canzoni

Musiche e nevrosi dal Festival di Sanremo

Ester Viola

 Amori, cuoricini ed equivoci freudian-sessuali, malinconie e catastrofismi. Qualche testo

Sanremo è un unificatore nazionale, un festival interprete dei tempi, una cartina tornasole dello stato delle cose? Dire sì è troppo, ma “no” è mentire. Le canzoni le fanno i micromovimenti collettivi. Bisogno, paura, desiderio latente, amori sciagurati, gente che non risponde ai messaggi whatsapp. Musiche e nevrosi di questo Festivàl. 


Amore sfortunato

Riprende quota, finalmente. Torna la storia della musica leggera italiana, le relazioni asimmetriche, le dinamiche affettive con forti componenti di sacrificio, corna. La retorica della dedizione incondizionata domina i brani, si arrendono tutti, nessuno spezza le ali del destino per non perdere l’amore.

Achille Lauro:
L’amore è come una pioggia sopra Villa Borghese / E noi stiamo annegando, naufragando è un romanzo / Amore mio veramente / Se non mi ami muoio giovane

Amore è quando pensi di morire, e poi non muori. Il sublime però è altrove.

Olly:
Ridere, piangere, fare l’amore / E poi stare in silenzio per ore / Fino ad addormentarci sul divano / Con il telecomando in mano. 

L’ansia dell’abbandono, la glorificazione della perdita come atto di valore. E’ il grande equivoco freudian-sessuale che si perpetua: la pretesa che, soffrendo bene, l’universo ci debba ricompensare per la nostra dolorosa generosità.

Onnipotenza dell’amore

Brunori Sas, tu quoque fai il furbo. Accreditato podio, qui si canta l’amore ottimista (le occasioni si sa sono infallibilmente due: nuovo innamoramento o filiazione): 

Io come sempre canguro fra il passato e il futuro / Scrivo canzoni d’amore alla ricerca di un porto sicuro / E come un ragioniere in bilico fra il dare e l’avere / Faccio partite doppie persino col mio cuore / E tu sei stata bravissima all’esame di maturità / A unire i puntini fra la mia bocca e la verità.

Altra categoria a vendita certa, caratterizzata da testi dove splende il sole, la notte è finita, l’amore è assoluto e il domani un concetto vago. Tendenza al “chi se ne frega di voi, io sto benissimo” della serotonina ai primi colpi. Illusione che certi sei mesi della vita durino per sempre. 

Malinconia urbana


Categoria nuova su cui nessuno avrebbe messo un centesimo (in Italia) e invece negli ultimi anni ha trovato spazi di mercato. E’ la restituzione con mezzi non melodici del “Là dove c’era l’erba ora c’è una città”. La scorsa generazione non ha esempi, come se “Adesso tu” fosse stata tutta insistita sui bordi di periferia, dove i tram non vanno avanti più. Per fortuna non è successo. Nell’hinterland moderno, tipo Mahmood, non ci si salva mai. Tute di acetato, metropolitane scassate, cinque euro di benzina nella macchina, nostalgia generica, smania non meglio specificata di che. La generazione che si è rassegnata prima del tempo alla consapevolezza che l’attesa di qualcosa di più grande è già finita.

E’ una street song / Per dare quello che ho / Brucerò fino alla fine / Chiuso tra cemento e smog / E’ una street song / Qui la gente muore e vive / Senza soldi e alternative / L’unica cosa che so.

Il miracolo di questa novella musica di strada, di chi la produce e chi la ascolta, è lo straordinario superamento del problema di coerenza: si possono cantare crisi nera e periferia col Patek Philippe?

Il catastrofismo esistenziale

La storia clinica può diventare hit. Prima serviva circostanziare l’individualismo amaro, insomma un pretesto per soffrire dovevi avercelo. Una bella stronza, un padre padrone, un amico carogna. Ora no. Queste canzoni dolorose parlano a una fettina di mercato sempre più consistente, quella che sente il male di vivere a carattere generale e ci si vuole immergere fino alle orecchie.

Vedo nero pure il cielo / Vetri rotti schegge negli occhi / Prenditi i sogni / Pure i miei soldi / Basta che resti lontana da me / Vedo il bicchiere mezzo pieno / Con due gocce di veleno.


Avanguardia Socialnetwork


Ma tu volevi solo / cuoricini, cuoricini / Pensavi solo ai cuoricini, cuoricini / Stramaledetti cuoricini, cuoricini / Che mi tolgono il gusto di sbagliare tutto / Poi mi uccidi, poi mi uccidi / Quegli occhi sono due fucili, due fucili / Che sparano sui cuoricini, cuoricini.

I Coma_cose fanno l’ipertesto contemporaneo. I cuoricini (la schiavitù dell’Instagram) ci stanno rovinando la vita. La faccenda è sopratono, allegra, orecchiabile. Il sottotesto è afferrabile e interessante. Hanno centrato qualcosa, e si può provare a spiegare cosa. E’ il nuovo profondo, quello che sta sotto la superficie ma solo di due centimetri, la schiuma dell’onda. Notazione per l’industria culturale tutta intera: è in quei due centimetri di schiuma dell’onda che si dovrà stare per gli anni a venire.