(LaPresse)

Teatro

Quei ragazzini catturati dall'opera mentre in tv va in scena Sanremo

Mario Leone

Oltre 1.500 ragazzi, tra platea e gallerie, riuniti per assistere a un’opera scritta quasi due secoli prima da un compositore a loro sconosciuto, dove si parla di morte, maternità, tradimenti, infanzia negata. C’è molto di più delle voci calanti di (quasi) tutti i cantanti e gli ospiti in gara al Festival

Mentre sabato sera andava in scena la finale del Festival di Sanremo, piazza Beniamino Gigli a Roma si illuminava di luci e di tanti ragazzi che erano lì per assistere all’“anteprima giovani” di Lucrezia Borgia di Donizetti. Un progetto semplice quanto importante: alcune opere di tutta la stagione del Teatro dell’Opera di Roma vengono messe in scena in anteprima per ragazzi sino a venticinque anni. La maggior parte, che sabato riempivano una piazza solcata da un vento freddo, sono quelli delle scuole con i loro docenti.  Ci sono ancora dei prof che il sabato sera, fuori dal loro orario, gratuitamente, pagandosi anche il biglietto, organizzano e accompagnano i loro studenti ad ascoltare l’opera lirica. C’ero anch’io, con un manipolo di quaranta tredicenni, per la prima volta nel Teatro della loro città. Le ragazze, vestite meglio, già preparate a serate più eleganti, dove ci si confronta con altre donne. I ragazzi, un po’ più scomposti, camicie portate fuori dai pantaloni e giacche sopportate come fossero un’armatura di metallo. In pochi hanno rinunciano alla scarpa da ginnastica. Tutti ovviamente con il cellulare tra le mani. “Incoscienti giovani” che spesso fanno i duri, facendo finta “che non gli importa del futuro”, ma poi con una fragilità che li confina da soli, con la “tv accesa a fare compagnia”. Eccoli dunque che stanno per assistere a un’opera scritta quasi due secoli prima da un compositore a loro sconosciuto, dove si parla di morte, maternità, tradimenti, infanzia negata.

Il colpo d’occhio entrando in teatro è commovente: oltre 1.500 ragazzi, tra platea e gallerie. Tanti fanno su e giù per le scale del teatro, volendone scoprire gli anfratti; altri fanno foto e selfie. Quando si abbassano le luci, c’è un brusio che si placa con il sorgere della musica. Un’imponente maschera scende dall’alto sul palco e Lucrezia Borgia è in scena su di un letto mentre suo figlio va via.
La regia di Valentina Carrasco e la direzione di Roberto Abbado catturano l’attenzione dei ragazzi: attenti, in silenzio, presi dalle vicende disperate dei protagonisti. Mi hanno chiesto se “ci fosse la seconda serie” di Lucrezia Borgia, perché finisce troppo male. Alcuni di loro sono stati abbandonati come Gennaro, il protagonista dell’opera. Altri vivono realtà familiari che non sono proprio “anima e core” e hanno, nei loro occhi e sulla loro pelle, “guerra dei mondi”. Questi ragazzi sono molto meglio di come li descrive “un mondo che non li capisce”. Sicuramente sono molto meglio di noi adulti, “tutta teoria ma non pratica”. Apprezzano l’opera e le cose belle se c’è qualcuno che gliele fa ascoltare e si mette al loro fianco. Spesso imparano “i versi” da “uomo d’onore” di Tony Effe solo perché non sanno che esiste anche altro. C’è molto di più dei “cuoricini” o delle voci calanti di (quasi) tutti i cantanti e gli ospiti in gara a Sanremo.

Terminata la recita, il teatro si svuota velocemente. Quei ragazzi saranno andati a mangiare da McDonald’s e poi a vedere la finale di Sanremo o a ballare. E’ la loro età, il loro tempo, ma questo non cancella quanto hanno appena visto e ascoltato: qualcosa che, simile a un seme che si posa, a Dio piacendo fiorirà; come e quando non sappiamo, perché la bellezza si ritrova “solo dietro l’imprevisto”.
 

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