ricetta seriale
"L'Arte della Gioia" mostra un mondo fatto più di ombre che di luci
La serie in sei episodi, diretta da Valeria Golino e tratta dall'omonimo romanzo di Goliarda Sapienza, ha il pregio di essere un racconto molto curato dal punto di vista della ricerca estetico fotografica. La sensazione è che sia controllato in ogni dettaglio e che però paradossalmente abbia in sé un germe d'impazzimento
L’arte della Gioia è una serie che ha in sé una forza attrattiva e repulsiva. Stanno insieme, in modo contraddittorio ma misteriosamente anche omogeneo. Presentata prima al Festival di Cannes, poi in sala e dal 28 febbraio disponibile su Sky e Now, la serie in sei episodi da circa un’ora, diretta da Valeria Golino e tratta dall’omonimo romanzo di Goliarda Sapienza (Einaudi) mostra un mondo fatto più di ombre che di luci che gira attorno – come suo unico sole – alla figura di Modesta (la brava Tecla Insolia), prima bambina poi adolescente volitiva, irriverente e fuori dagli schemi.
Siamo nella Sicilia di inizio Novecento e Modesta, nata in una famiglia povera e a seguito di tragedie e violenze subite, viene accolta in un convento femminile, retto dalla madre badessa suor Eleonora (Jasmine Trinca). Le suore tentano di addomesticare Modesta, che fin da subito appare ineducata e mossa da una forza vitale fuori da comune, che la fa essere sempre sfidante e caparbia. Suor Eleonora la prende sotto la propria ala, nutrendo per lei una preferenza che sconfina in un’attrazione difficile da contenere. Modesta utilizza questo suo potere attrattivo per divorare il mondo, andando contro i luoghi comuni, mossa da un’insaziabile ricerca di libertà. Una libertà personale che diventa il movente del suo agire, la ricerca della gioia nelle declinazioni che man mano la vita le offre. È un personaggio vorace, scomodo, a tratti urticante e capriccioso, la cui vita avrà un’ulteriore svolta quando arriverà al servizio della principessa Brandiforti (la sempre eccellente Valeria Bruni Tedeschi), dove continuerà la sua educazione emotiva, fisica ed erotica. Una iniziazione alla vita, soprattutto nella sua carnalità.
La serie, scritta dalla Golino insieme a Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella e Stefano Sardo, ha soprattutto il pregio di essere un racconto molto curato dal punto di vista della ricerca estetico fotografica. La bellezza estetica della storia è un ingrediente caratteristico della serie, diventa drammaturgia e per questo risulta avvincente e ipnotica. Il ritmo del racconto è rarefatto, a tratti contemplativo (la sensazione è che si sarebbe potuto raccontare questa storia in meno minuti, dando maggiore compattezza senza perdere l’atmosfera). Tante sono le scene immaginifiche, tutte ben giocate, e anche l’utilizzo delle musiche è interessante. La sensazione è che si tratti di un racconto controllato in ogni dettaglio che però paradossalmente sfugge al controllo, ha in sé un germe di impazzimento, di asimmetria che a tratti disturba a tratti avvince. Grandi interpreti, un mondo narrativo scomodo dove non è semplice stare (e non è scontato voler tornare). Ma che non ha nulla da invidiare al cinema, nel bene e nel male.
Qual è il tono della serie in quattro battute?
“È vero, ho rubato. Ho sempre rubato la mia parte di gioia, a tutto e tutti”.
“Quante volte mi sono innamorata? Tutte le volte che è stato necessario”.
“Io volevo la vita”.
“Libera nel torto”
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