I giardini del nunzio
Un ricco imprenditore ebreo donò la villa a Pio XII. Storia e personaggi di villa Giorgina, set di Moravia, ambasciata vaticana a Roma
Ci mancavano solo le ossa, nella ricca e avventurosa storia di villa Giorgina, la Nunziatura apostolica in Italia, cioè ambasciata del Papa presso l’italica repubblica. Va bene che è Halloween, ma chissà di chi sarà lo scheletro anzi gli scheletri (son due), ritrovati in questi giorni, se davvero della povera Emanuela Orlandi e di un’altra scomparsa in una delle tante notti della repubblica, Mirella Gregori.
Non c’era appunto bisogno di questo ulteriore colpo di scena: villa Giorgina, già Levi, fu costruita nel 1920 per un ricchissimo imprenditore ebreo torinese, Isaia Levi, prima straccivendolo e poi fondatore delle penne Aurora e presidente della Zanichelli e di molto altro. Ebreo cristiano, si era convertito a Santa Romana Chiesa e al Partito nazionale fascista: divenne Cavaliere del Lavoro, Commendatore, Grande Ufficiale della Corona d'Italia e addirittura Senatore del Regno. Con le Leggi razziali del ’38 perse i titoli ma non la libertà.
Il dolore della vita sua fu l’unica figlia, Giorgina, che morì di leucemia. Nel 1949, alla morte dell’ex senatore, la villa e il patrimonio finirono alla Santa Sede, anzi direttamente a Pio XII. Il testamento così diceva: “Beatissimo Padre, alla Provvidenza per avermi preservato dai pericoli della iniqua lotta razziale, e grato alla protezione concessami in questo turbinoso periodo, affido con devozione filiale alla Santità Vostra questo mio testamento”.
Il Senatore ci teneva molto alla casa: “lascio alla Santità Vostra la mia villa di Roma, in via Po 29, attualmente, in ricordo della mia amata bambina volata al cielo in giovane età, denominata Villa Giorgina. Questa villa è quanto di più caro io possegga. L’arricchiscono piante di valore da me coltivate con somma cura, è ricca di acqua con fontane e ninfei, frammenti antichi, scalee e serre per i fiori. La costruzione è quanto di meglio poteva realizzarsi ai nostri tempi”.
Effettivamente la villa era opera di Clemente Busiri Vici, dinastia di archistar romani, designer anche della villa d’Alberto Sordi e di villa Taverna residenza degli ambasciatori d’America: una specie di Caccia Dominioni da grande raccordo anulare. La villa è una specie di fortino neoclassico su un cucuzzolo circondato da altissimi muraglioni tra via Po, via Salaria e le vie “dei musicisti” (Donizetti, Scarlatti, Sgambati), quel miglio d’oro che separa villa Borghese dai più banali Parioli. La villa, che sta dietro a quella della regina madre del Belgio, Paola Ruffo, è molto più grande e ha anche un asset letterario unico. E’ anche, infatti, la villa degli “Indifferenti”. Il giardino di cui il senatore Levi era molto orgoglioso è ben descritto da Alberto Moravia. “Dietro la villa il giardino era meno vasto che dall’altro lato ma più folto; dei grandi alberi vi sorgevano, degli arbusti copiosi arrivavano fino al petto d’uomo, un solo angusto viale girava intorno a questa massa di vegetazione incolta, lungo il muro di cinta, ma era anch’esso così abbandonato e invaso dall’erba e dai rami che in certi punti era difficile ritrovare l’antico tracciato; doveva esserci anche, laggiù in fondo al giardino, una piccola costruzione rettangolare, una specie di rimessa, ma gli alberi la nascondevano”. Moravia ci ambienta i suoi Finzi Contini du côté di Villa Borghese perché aveva studiato la location per tutta l’infanzia: poiché era cresciuto, blindato in casa dal mal sottile, nel villino di fronte, (oggi abbattuto) costruito dal padre, l’ingegner Pincherle, che aveva costruito tante palazzine dei Parioli e non.
Villa Giorgina oggi è un posto molto tranquillo, tranne in questi giorni in cui troupe e forze dell’ordine d’ogni tipo stazionano all’ingresso (dove invece normalmente presidia una placida camionetta dell’esercito). Non entra né esce mai nessuno, tranne a metà giugno quando si tiene il consueto ricevimento diplomatico e accorrono tutti. Gli ambasciatori oltre al meglio notabilato italiano. Da un anno il nunzio è Emil Paul Tscherrig, svizzero, per la prima volta un non italiano (c’è da perdere la testa: la Santa Sede ha un ambasciatore in Italia: ed è svizzero).
Monsignor Tscherrig, già nunzio in Argentina, dove è stato apprezzato da Papa Francesco, è molto apprezzato anche dai vicini di casa, perché ha imposto una fervida manutenzione alla villa e soprattutto al parco: le foglie vengono rimosse con gli appositi soffioni; i pini marittimi son stati tagliati proprio nei giorni scorsi vista la bufera incombente. Le vecchie palme, rose dal famigerato punteruolo rosso, eliminate. Forse proprio tutto questo lavorio manutentorio ha portato anche al ritrovamento degli scheletri in giardino. Potrebbe trattarsi, insomma, di un classico eccesso di zelo.