Foto tratta da Wikipedia

Il '68 particolare di De Carlo

Michele Masneri

L'architetto nell’aprile 1968 produsse un saggio che raccontava “live” quello che succedeva “ad architettura”, nel senso di facoltà ma anche di disciplina

L’anniversario del ‘68 è passato quasi inosservato, travolto da movimenti più rock come populismo e sovranismo. Chissà che influenze avranno sull’architettura: si assisterà a un neorazionalismo con tanti neo Piacentini e Mazzoni e Muzio e Libera? Vasti consumi di travertini? Una palestra per Salvini come quella fatta da Moretti (Luigi) per il Duce (magari con interni Technogym)? E con quali nuance internazionali (vedremo presto un nuovissimo razionalismo brutalista brasiliano?) Interrogativi pesanti.

 

Cinquant’anni fa però la contestazione giovanile partì in Italia proprio da Architettura. Tutto nacque a Valle Giulia sulla sua scalinata, la stessa dove poi pochi anni dopo si celebrava un momento ancor più fondamentale per la storia patria e per la lotta di classe, il remake della corazzata Potemkin che il cinefilo direttore elitista Guidobaldo Maria Riccardelli fa fare a Fantozzi dopo la distruzione delle celebri “diciotto bobine” ai cari impiegati, col ragioniere in carrozzina e la sciura Pina che deve fare “gli occhi della madre”.

 

Tra poliziotti e studenti, tra Pasolini e Fantozzi, una terza via è però possibile. Giancarlo De Carlo nell’aprile 1968 produsse un saggio che raccontava “live” quello che succedeva “ad architettura”, nel senso di facoltà ma anche di disciplina. Come spiega Filippo De Pieri nell’introduzione a “La piramide rovesciata. Architettura oltre il ’68” (Quodlibet), riedizione di quel lavoro, dall’analisi delle rivolte giovanili De Carlo capì in anticipo che bisognava separare le due dimensioni: le giuste richieste di novità dalle pretese demagogiche e paracule.

 

Pubblicando originariamente il suo pamphlet con un mese di anticipo sul maggio francese, De Carlo si interrogava su come sarebbe dovuta cambiare l’architettura per uscire dal ruolo ancillare di disciplina decorativa del reale, insomma su quale avrebbe dovuto essere il ruolo dell’architetto nella nuova società di massa.

 

Che timing: il 30 maggio avrebbe poi dovuto inaugurare a Milano la quattordicesima Triennale di architettura da lui diretta, e dedicata al “Grande numero”, questo il titolo: ma di numerosi vi furono soprattutto i vandali: una folla di manifestanti più o meno giovani distrussero tutto il giorno stesso della vernice, sfasciando opere di Arata Isozaki, Archigram, Archizoom, Hans Hollein, Renzo Piano. Fatti analoghi si svolsero alla Biennale di Venezia, la Quadriennale di Roma, il Festival del cinema di Pesaro e altrove. In una lettera a Isozaki, De Carlo scrive che, più che studenti idealisti, “la prima ondata di occupanti era composta da pittori e scultori irritati per la loro esclusione dalla mostra”.

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