Marx ai giardinetti
Roberto Burle Marx e l’invenzione del paesaggismo astratto
Tenendo insieme le più antiche essenze locali, inserendole tra grattacieli arrembanti e città col più alto tasso di sviluppo, Roberto Burle-Marx ha creato un’estetica e un’etica dei giardini abbastanza uniche. Un design totale di parchi, marciapiedi, laghi. Con questo nome anzi cognome, Burle-Marx (1909-1994), lontano cugino del filosofo tedesco, passò rapidamente dalla pittura al garden design, prima che questa disciplina osasse nominare il suo nome.
In Brasile, è un brand e un cult: responsabile del pattern di Rio, del beachfront di Copacabana (un mosaico di pietra nera, bianca e rossa lungo quattro chilometri che dalla spiaggia arriva fino agli atrii degli hotel), dei giardini pubblici del Flamengo Park col sublime spigoloso museo Mam dove oggi nelle vasche di ninfee si fanno il bagno con sapone favelantes impoveriti dalle varie crisi e forse fan di Bolsonaro; dei grandi parchi dei ministeri di Brasilia, Burle Marx ha disegnato i fondali modernisti delle città brasiliane, spesso in collaborazione con Oskar Niemeyer. Non ha fatto che poche ville e villette per gli affluenti del Brasile o globali (è pur sempre un Marx), bensì soprattutto tanti spazi pubblici, perché “il giardino ridà dignità alle masse” ed è un modo per “risarcirle in città per aver perso la foresta”.
Istruito al giardinismo da una madre bizzarra, Cecilia Burle-Marx, che lo voleva però cantante lirico, i suoi stanno ai giardini classici come la poltroncina di Mies van der Rohe al barocchetto brianzolo. Nemico del mimetismo giardinistico, fu infatti ispirato dal Bauhaus e dal cubismo; fan dei grandi blocchi a colori contrapposti, artefice della fuga dalla simmetria, Burle-Marx è stato anche il primo preservatore della foresta amazzonica, quella che oggi è in pericolo e che il nuovo presidente Bolsonaro vuole ovviamente sterminare.