Il sex appeal dell'organico
Mostre, progetti, libri sul design vivente in grado di salvare il pianeta
“Tutto è design”, parafrasando la frase di Hans Hollein di tanti anni fa “tutto è architettura”? Di sicuro tutto è design “organico”: i grandi musei e gli editori internazionali si sono buttati sul tema, da “Broken Nature”, la mostra alla Triennale milanese curata da Paola Antonelli (in quota MoMA), al libro di Beatriz Colomina e Mark Wigley, “Are We Human? Notes on an Archaeology of Design” (Lars Mueller) alla mostra al Centre Pompidou “La Fabrique du vivant”, aperta fino al 15 aprile. Il global warming e il climate change hanno messo in dubbio la nostra permanenza sulla terra, e l’unica risposta pare essere il design del vivente, quello totalmente nuovo che usa non solo e non più materiali biodegradabili, ma materiali letteralmente “vivi”. Come le alghe che si nutrono di anidride carbonica e quindi, se integrate negli arredi e nell’architettura, possono essere in grado di filtrare l’aria inquinata delle metropoli. Ci sono progetti di grandi sculture urbane come “H.O.R.T.U.S. XL” dell’EcoLogicStudio di Londra, formato dagli italiani Marco Poletto e Claudia Pasquero (docenti alla Bartlett University) che prevede una bio-scultura in 3d in grado di ospitare umani e non umani, ma soprattutto di accelerare la fotosintesi e quindi la creazione di ossigeno attraverso la coltura di speciali microorganismi. Siamo insomma ben al di là dell’architettura organica di Frank Lloyd Wright o delle sperimentazioni green di Hundertwasser, in un campo cioè talmente sperimentale che quelli che ci si avventurano sono più artisti che designer o architetti. In un futuro non lontano quindi non dovremo più preoccuparci solo di non rovinare i mobili, ma anche forse di dargli da mangiare, e magari anche di sposarli, pur contro i voleri del Congresso mondiale delle famiglie.