Il presidente degli Stati Uniti Gerald R. Ford con la first lady Betty Ford insieme a Giovanni e Vittoria Leone alla Casa Bianca. The U.S. National Archives, 1974

House of Quirinale

Michele Masneri

Giovanni Leone, la prima first famiglia sul colle più alto di Roma, e soprattutto lei, donna Vittoria, la nostra unica Jackie possibile

Aridanghete. Non sarà “The crown”, ma in un paese di show business e script sempre così neorealisti, che festa e che occasione per un po’ di storia del costume, anche politico-istituzionale, con un po’ di racconti veri su personaggi anche drammatici che ce l’hanno fatta.

Si chiama “Buonasera Presidente” ed è una serie di finte interviste però verissime, con Filippo Ceccarelli che dialoga con 11 presidenti della Repubblica, interpretati da attori, che rispondono con parole però filologicamente certificate dop. La serie, prodotta da Anele per Rai Storia, a partire dal 30 aprile ogni martedì racconterà il Quirinale da Enrico De Nicola a Carlo Azeglio Ciampi.

 

 

Mercoledì è stata presentata in anteprima alla Luiss la puntata su Giovanni Leone, scelta comprensibile perché in Leone c’è tutto: il cliché e il suo ribaltamento, il glamour, il gossip. Il dramma. Filmati goduriosi e interviste mostrano il giurista che arriva in politica perché “l’avevano chiesto a mio padre, ma lui disse: sono troppo vecchio, prendete mio figlio”. “Sono un politico preterintenzionale”. E poi, dopo esser stato presidente della Camera e del Consiglio, Senatore a vita, alla fatale ascesa sul Colle: “Non fatemi fare la fine di San Sebastiano”, dice profetico, eletto al ventitreesimo scrutinio la vigilia di Natale 1971, in tempo per beccarsi il settennato più velenoso di sempre.

Subisce infatti tutte le stragi orrende, piazza Fontana e piazza Loggia e l’Italicus, e la devastante vicenda Moro (suo amico e competitor per le Quirinarie; Leone, fautore della trattativa, tenterà poi una mediazione con le Br, ma i partiti non vogliono).

 

E’ anche il primo caso di character assassination della Repubblica: dipinto come un manigoldo, un guappo napoletano che canta O sole mio, “affossatore di scandali, protettore o difensore di persone fortemente inclini all’intrallazzo” secondo il manuale di quel genere, “Giovanni Leone la carriera di un presidente”, di Camilla Cederna, che venne condannata per diffamazione e non chiese mai scusa (a differenza di Marco Pannella, in occasione del novantesimo compleanno di Leone, nel 1998).

Lui si era dimesso vent’anni prima, nel 1978, nel mezzo degli scandali e sospetti che senza prove lo indicavano come la misteriosa Antelope Kobbler (che nome), ricettore e propalatore di tangenti nel caso Lockheed per l’acquisto di aerei militari, oltre che manigoldo in generale.

 

Naturalmente non c’era nulla di vero, ma si dimise ugualmente (il discorso in televisione è assurdo e inquietante, con una telecamera a mano che traballa e gli occhi pieni di lacrime, nerissimi, del presidente, dietro i grandi occhiali neri). In questo discorso pieno di dignità Leone si augura che il trattamento a lui comminato (calunnie tra magistratura e giornali nella debolezza complice della politica) non tocchi poi ad altri, “un metodo che se mettesse radici diverrebbe strumento fin troppo comodo per determinare la sorte degli uomini e le vicende della politica”, mentre poi diventerà naturalmente un format.

Sprofondò allora in una depressione mortale che non lo abbandonò più, dice in interviste di repertorio la moglie, la mitologica donna Vittoria che Leone conobbe ragazza, lui già quasi quarantenne, celebre penalista, lei studentessa: si sposarono e non si lasciarono più.

 

Vittò, t’agg fatta regina”, le dice lui quando la porta al Quirinale, con quell’accento che gli procurava complessi (“non come De Nicola che pure lui è napoletano, ma lo tiene bellissimo. Ma alla mia età come faccio? Cambio dizione? Diventerei ridicolo”). Al Quirinale dopo due presidenti anzianissimi o austeri e le pere divise a metà di Einaudi irrompe la modernità, modernità magari un po’ napoletana e fracassona, ma così è: è la prima vera famiglia, racconta il figlio Giancarlo, e oltretutto donna Vittoria è bellissima e davvero regale e veste Valentino, sempre di bianco, non sfigurando accanto alle first lady americane.

Diranno di tutto su di lei, che diventa aggravante per Leone: la faranno seguire dai servizi, per vedere se ha degli amanti. Alla first famiglia, ai “tre monelli”, copyright sempre Cederna, non verrà perdonato nulla. Dopo tanti anni, si capisce che la loro colpa era soprattutto d’essere un po’ troppo giovani, in un paese di vecchi (per gli appassionati, si segnala il magnifico sito del Quirinale, con tutte le visite di Stato, i protocolli, i posti a tavola, i menu).