Helmut Berger immortalato da Andy Warhol in una delle sue celebri Polaroid nel 1973

Io, Helmut e tu

Michele Masneri

Berger adottato da una famiglia della Bassa Sassonia. Un documentario

Ospite d’onore al Lovers Film Festival (fino al 28 aprile), il più vecchio festival Lgbt d’Europa, è quest’anno Helmut Berger, l’austriaca musa viscontiana che qui verrà onorata con proiezione di “Gruppo di famiglia in un interno” (1974), ma soprattutto di un curioso documentario che lo riguarda: “Helmut Berger, Meine Mutter und Ich” (“Helmut Berger, mia madre e io”) di Valesca Peters (Germania, Austria, 2019, 82’), in cui il devastato attore viene prima stalkerizzato e poi adottato da una anonima signora tedesca.

 

 

Ragioniera della Bassa Sassonia, fan dell’attore da giovane, un po’ depressa anche lei a seguito di un divorzio, la signora finisce un giorno a googlarlo, a seguirne i trascorsi defatiganti (l’alcol, la depressione, la solitudine, la partecipazione a orribili reality ). Ne viene un po’ ossessionata; si indigna per la triste decadenza; riesce a stanarlo, si procura il numero e lo chiama: lo invita a trasferirsi per un po’ nella sua villetta con giardino, e lì comincia a intervistarlo, oltre a portarlo anche da uno psicologo.

 

Berger si comporta un po’ da sovrano in esilio, fa fuori tutte le scorte di champagne di casa, stupisce maestranze locali (da una podologa si fa dipingere le unghie dei piedi di nero, conversando: “si ricorda Marlene Dietrich?” “Ah, sì, ne ho sentito parlare”. “Io una volta ho fatto lei”). Ne viene fuori uno stranissimo film, un tentativo di documentario residenziale in rehab, sull’eterno tema della bellezza e della sua perdita (la regista è la figlia della signora sassone, regista e montatrice). Berger però finalmente sembra un po’ felice.

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