Con Kanye in Biennale
Vanessa Beecroft firma un numero speciale di GQ sull’arte e ci ricorda quale può essere un altro splendido futuro della carta stampata. Parla il direttore
La Biennale veneziana apre domani all’insegna del “May you live in interesting times”, il mantra onnicomprensivo scelto per questa edizione, e GQ, il mensile del gruppo Condé Nast, va in edicola con un numero un po’ speciale molto artistico, con Kanye West in copertina immortalato da Vanessa Beecroft.
Un lungo “artwork” dell’artista angloitaliana che per la prima volta fa la cover di un giornale, ma certamente in tono con la Biennale sia perché Beecroft alla Biennale ha partecipato, e sia perché Kanye con le sue molteplici trasformazioni e sistemazioni anche matrimoniali è uno dei personaggi più interessanti di questo nostro tempo bizzarro. Le fotografie di Beecroft, che già in passato aveva collaborato col musicista, riguardano i misteriosi “Sunday service” che Kanye West organizza ultimamente: una specie di messa cantata , naturalmente in favore di Instagram, starring la mogliettina mnimalista Kim Kardashian. “Sono un canto, una celebrazione. Ma c’è anche un aspetto di comunicazione, in cui West è molto sofisticato”, dice al Foglio Giovanni Audiffredi, direttore di GQ. In questa “art issue” ci sono poi un’intervista Alessandra Mammì a Massimo De Carlo, il più importante gallerista italiano; i contributi di Alessandro Sciarroni che il 21 giugno riceverà il Leone d’oro di Biennale Danza; di Martin Bethenod, direttore di Palazzo Grassi-Punta della Dogana a Venezia; di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, sul suo rapporto con l’arte.
“GQ è molto cambiato” dice Audiffredi, milanese, 48 anni, entrato in Condé Nast nel 2007 a ‘Vanity Fair’, di cui è stato caporedattore. E’ stato prima anche giornalista all’Unità, e negli ultimi anni è stato caporedattore centrale a Ad durante la direzione di Emanuele Farneti, che ha poi seguito a Gq. “Questa copertina segnala il cambiamento: con Beecroft, famosa per la sua sensibilità femminista. E’ un magazine riflessivo. Guarda molto più all’attualità. Non c’è volgarità, non ci sono nudi femminili. Non è più legato a quella che si dice una mascolinità tossica”, dice Audiffredi.
Insomma, su questo tipo di giornali una volta c’erano soprattutto signorine discinte, oggi c’è un musicista afroamericano. “La sensibilità è cambiata. Cerchiamo di essere dei gentlemen contemporanei, visto che la nostra testata si chiama poi Gentlemen’s Quarterly”. Soprattutto è una testata che sta in piedi economicamente, cosa rara di questi tempi. “Da inizio anno siamo in pareggio di bilancio”, dice Audiffredi. Grazie a una ricetta economica che si evolve. “A marzo siamo cresciuti del 24 per cento come traffico del sito, abbiamo 131 mila follower certificati su Instagram, che fanno di GQ il primo maschile italiano. Stiamo investendo poi su social come Pinterest e TikTok”.
Tutto digitale? Pare di no. “La carta, data per spacciata, rimane il core business. La carta consente delle riflessioni più approfondite, consente di impreziosire e magnificare l’immagine” dice Audiffredi. “Anche tantissimi influencer che sono soggetti molto forti sulla Rete ci chiedono di partecipare a progetti print”. La carta poi “ha una vita lunga nelle case di chi lo compra, che si tiene borghesemente in salotto”. E poi però ci sono gli eventi, che “stanno diventando una importante voce di business per il giornale”. “Abbiamo una community di 850.000 followers sui social, e ogni volta che creiamo un incontro pubblico è un successo”, continua il direttore di GQ. “Il nostro Best dressed man, appuntamento fisso che apre le sfilate della moda maschile, è un classico, quest’anno ne avremo anche un altro prima delle sfilate di giugno e poi ci saranno le celebrazioni per i vent’anni di GQ a ottobre”.