Edmund De Waal, Biblioteca dell'esilio, 2019

Esilio veneziano (e non solo)

Michele Masneri

L’artista-romanziere Edmund de Waal e un’installazione al Ghetto

Fra i tanti eventi collaterali della Biennale d’arte ce n’è uno sostenuto dalla Comunità ebraica di Venezia e dalla Beit, Casa della cultura ebraica: “Psalm”, una doppia installazione dell’artista e scrittore britannico Edmund de Waal che, come si dice in questi casi, dialoga con l’architettura storica. La prima è all’Ateneo Veneto, ex sede della confraternita dedita al conforto dei condannati a morte, ed è una candida stanza che raccoglie libri in varie lingue di scrittori costretti all’esilio, non solo ebrei, da Dante a Victor Hugo, da Voltaire a Mandel’stam (c’è anche il poeta palestinese Darwish): la biblioteca dell’installazione è arricchita da quattro vetrine, con allestimenti che richiamano la famosa edizione a stampa del Talmud curata dal tipografo rinascimentale Daniel Bomberg.

 

La struttura contenitiva è rivestita in porcellana liquida e foglia d’oro da cui traspaiono, inscritti da Edmund de Waal stesso, i nomi delle biblioteche perdute di tutto il mondo. I visitatori sono invitati a prendere il loro preferito, a firmarlo e a suggerirne altri. All’esterno, a carboncino, sono scritti i nomi di tutte le grandi biblioteche perdute, da quella di Alessandria d’Egitto a quella più recente di Mosul. La frase tristemente profetica di Heinrich Heine, “dove i libri sono bruciati, anche le persone saranno bruciate”, chiude la prima visita. La seconda installazione invece è al Museo Ebraico, nel ghetto, dove piccoli vasi di marmo di de Waal ricordano come questo materiale, considerato troppo prezioso, fosse loro precluso e allora gli ebrei veneziani s’inventarono la tecnica povera del marmorino (che come poi succede sempre supera in bellezza il materiale costoso originale). De Waal, erede di una grande famiglia ebraica, è famoso anche per il romanzo autobiografico “Un’eredità di avorio e d’ambra”.

Di più su questi argomenti: