La riconversione urbana di Nantes
Lo studio Lan ha costruito una nuova parte di città: piazza, verde pubblico, ristoranti e alloggi a prezzi bassi
Dopo l’estate sarà completamente abitata e operativa non un’architettura, ma un pezzo di città frutto di un’intelligente operazione di riconversione urbana. Succede a Nantes, la città di Giulio Verne, a opera dello studio italo-francese Lan di Umberto Napolitano e Benoit Jallon che per questa operazione ha convinto un promotore immobiliare (Kaufman & Broad) a rinunciare a qualche metro cubo di vani per creare non un ennesimo quartiere speculativo, ma appunto una nuova parte di città chiamata Polaris dotata di piazza, verde pubblico, garage, ristoranti, uffici e alloggi di cui un terzo convenzionati cioè a basso prezzo garantito. Sono molte le isole industriali lungo i fiumi francesi, alcune come quelle sparse lungo la Senna hanno una storia importante (per esempio la casa automobilistica Renault è nata sull’Ile Seguin), in quella di Nantes c’erano dei vecchi cantieri navali e altre attività come un’azienda di sanitari, tutte dismesse. Da qui la grande trasformazione del paesaggio urbano del lungofiume, la Loira, che a poca distanza da Polaris ha visto la nascita di una delle facoltà di Architettura più interessanti d’Europa – progettata da Lacaton & Vassal spendendo talmente poco in materiali che hanno potuto raddoppiare la cubatura ampliando i laboratori – e il maestoso palazzo di giustizia di Jean Nouvel sulla cui vetrata, di notte, si riflette tutta la città.
I Lan hanno voluto scongiurare il naturale destino di quartiere dormitorio, creando una mixité funzionale e attirando attività eterogenee come la scuola di hotellerie Vatel, il suo campus e i relativi luoghi di applicazione delle lezioni cioè hotel, ristorante e bar. La mixité è stata estrema perché oltre ai servizi e gli altri alloggi e uffici, Napolitano e Jallon hanno coinvolto altri due studi, il parigino Abinal & Roparse e Stephan Fernandez di Aix-en-Provence. Il risultato sul giornale locale Ouest France è stato giudicato come qualcosa dall’apparenza transoceanica, a una maschera newyorchese. Tuttavia, l’asciuttezza formale del complesso e la sua calibrata spazialità di sapore metafisico, anche se non troppo esplicitamente, mostrano che chiaramente il cuore del Polaris batte per la vecchia scuola italiana che va dal Marcello Piacentini della piazza della Vittoria di Brescia e poi, attraverso Saverio Muratori, arriva fino a Carlo Aymonino e Aldo Rossi: fare architettura è sempre fare una parte di città. Come nel caso dell’hotelerie, Montaigne commenterebbe: “Du masque et de l’apparence il ne faut pas faire une essence réelle. C’est assez de s’enfariner le visage, sans s’enfariner le cœur”.